La gita a Chiasso

Trent'anni di sconfinamenti culturali tra Svizzera e Italia (1935-1965)

A C D E F I
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Italianità

L’italianità comprende l’insieme dei valori linguistici, letterari, artistici e culturali italiani nella Confederazione elvetica e in particolare nella Svizzera italiana. Tale definizione fu condivisa da molti intellettuali e operatori culturali nel 1935-1965, assumendo tuttavia posture e sfumature differenti che diedero talvolta luogo a controversie e dibattiti. Dal 1935 fino alla caduta del fascismo si scontrarono soprattutto due diverse visioni del concetto di italianità in Svizzera: un’italianità “romana” e una “elvetista”. Dopo la guerra, la discussione si concentrò invece sul concetto stesso di italianità “elvetista”, criticato soprattutto in Ticino. Proprio qui, inoltre, si sviluppò lungo il trentennio anche una terza idea di italianità, diffusa soprattutto da Francesco Chiesa, di matrice più cantonale.

Gli anni del fascismo: l’italianità romana

Il regime mussoliniano considerava la cultura italiana in Svizzera come una sorta di copia estera dell’Italia fascista, priva sia della capacità sia del diritto di produrre contenuti autonomi. In tale prospettiva, la Svizzera italiana era vista come una semplice appendice dell’Italia in territorio straniero. Questa dottrina si concretizzò nel 1941 con la fondazione presso la Reale Accademia d’Italia di un Centro Studi per la Svizzera italiana (1941-1943), che si affiancava ad altri centri studi per l’estero: i Centri Studi per la Dalmazia, il Vicino Oriente, l’Albania, l’Africa Orientale, i quali avevano tutti come oggetto territori politicamente controllati dall’Italia. L’idea di italianità romana in Svizzera sottostava quindi a un progetto di colonialismo culturale che negava alla Svizzera ogni originalità e autonomia nel campo della cultura italiana, e che confinava spesso con i territori ideologici dell’irredentismo. Sebbene poi nella pratica la dirigenza del Centro si tenne alquanto lontana da questo atteggiamento promuovendo invece scambi e collaborazioni equilaterali con le organizzazioni culturali svizzere, sulla sua rivista “Archivio storico della Svizzera italiana” alcuni autori sostenevano esplicitamente questa visione subordinata di italianità svizzera. In una recensione molto critica a Senso della Svizzera e problemi del Ticino (Istituto Editoriale ticinese, Bellinzona, 1937) di Arminio Janner, che sosteneva tesi opposte, Lombardo scriveva ad esempio che

Janner richiama la sua cultura italiana di svizzero, quasi che l’italianità dei ticinesi, nostri rappresentanti e assertori in seno alla Confederazione, non debba essere quella del tempo di Mussolini ma un’altra ().

Lombardo

l’italianità elvetista tra antifascismo ed europeismo

Un gruppo di intellettuali svizzeri basati soprattutto a Zurigo e capeggiati da Giuseppe Zoppi e Fritz Ernst concepivano invece l’italianità in Svizzera come un insieme di valori spirituali, il cui legame con l’Italia si collocava al di sopra della contingenza storica e politica e quindi anche dal fascismo. Come evidenziò Ernst in una lettera () in cui rifiutava di collaborare con “Archivio storico della Svizzera italiana”, l’italianità in Svizzera è presente non solo nella Svizzera italiana bensì in tutto il territorio confederale, poiché costituisce una delle componenti spirituali fondamentali della diversità culturale che ne presuppone l’identità. Ciononostante, Zoppi ricordava spesso agli svizzeri italiani la missione morale a coltivare il legame con la cultura italiana, poiché senza di esso l’italianità svizzera disseccherebbe. La contraddizione tra tale necessità e l’autonomia dal fascismo per Zoppi si scioglieva appunto nel rintracciare la comunanza tra i due Paesi in valori spirituali assoluti:

Coltivando la nostra italianità, rendiamo dunque servizio non soltanto a chi vive sulle sponde del Ticino, ma anche a chi vive sulle sponde del Rodano e del Reno (Italianità, in “Corriere del Ticino”, 24 novembre 1945 ).

Giuseppe Zoppi

Queste tesi erano vicine alla teoria della Difesa spirituale del Paese, secondo cui in quegli anni il pluralismo democratico svizzero, di cui l’italianità è appunto elemento imprescindibile, marcava un netto confine ideologico e identitario contro i totalitarismi. Integrando quindi la categoria di “italianità” a quella di “elvetismo”, Zoppi ed Ernst segnavano così – sebbene mai in maniera esplicita – un distacco ideologico dall’Italia fascista, fondata invece su concetti opposti al pluralismo svizzero quali sangue e razza. Italianità ed elvetismo costituiscono, insomma, due facce della stessa medaglia. All’interno di tale visione, l’italianità diviene inoltre un elemento cardine per la rinascita di una condivisa cultura paneuropea nel dopoguerra, la quale abbia nella Svizzera, vista come custode dell’autentico spirito europeo durante gli anni della guerra (sorta di “Europa in miniatura”) il suo centro propulsore. (cfr. Zoppi, Vocazione europea della Svizzera ).

ITALIANITÀ ticinese e “Svizzera italiana”

La contrapposizione tra italianità romana e italianità elvetica innervò in quei decenni anche il dibattito interno alla Svizzera italiana. Tra gli intellettuali più attivi sull’argomento era Francesco Chiesa, il quale promuoveva un’idea di italianità di matrice più cantonale. In Svizzera italiana e Italia (in “Corriere del Ticino”, 22 marzo 1941 ) Chiesa sosteneva che la Svizzera italiana traesse il proprio nutrimento culturale più dall’Italia che dalla Confederazione, e che perciò fosse vitale che essa preservasse sempre e comunque i propri rapporti culturali con la penisola. A differenza di Zoppi ed Ernst, Chiesa vedeva l’italianità non come un insieme di valori spirituali sovranazionali che si attuava di volta in volta in Italia o in Svizzera, ma più concretamente come ciò che l’Italia esprimeva culturalmente nel presente. Collocandosi a metà strada tra “romana” ed “elvetista”, l’italianità cantonale di Chiesa accettava insomma l’Italia fascista. Chiesa collaborò infatti attivamente col Centro Studi per la Svizzera italiana, di cui era socio; scrisse invece sulla rivista ticinese dell’elvetismo, “Svizzera italiana”, solo dal luglio 1945, a guerra finita.

“Svizzera italiana” (fondata nel 1941 da Guido Calgari) radunava appunto i maggiori sostenitori dell’italianità elvetista in Ticino. Si scontrò subito con “Archivio storico della Svizzera italiana” e con i principali centri di cultura italiana in Ticino di matrice filofascista, come il Circolo di lettura di Lugano fondato nel 1941 da Giovan Battista Angioletti, nonché con Francesco Chiesa. Le divergenze riguardavano diverse questioni, tra cui quella, centrale, del cosiddetto “intedeschimento”, ossia la penetrazione culturale ed economica degli svizzeri tedeschi in Ticino (cfr. l’apposita voce). L’opposizione della rivista all’italianità romana fu esplicitata e portata all’estremo da Arminio Janner subito dopo la caduta del fascismo, nell’articolo Fede nell’Italia, apparso sulla rivista “Svizzera italiana” nell’agosto 1943. Il testo, piuttosto lungo, si chiude con un’esplicita distinzione tra un’italianità fascista e italianità autentica, e un richiamo all’ideale elvetista:

[Il Ticino] ha distinto subito l’Italia, l’Italia vera, dal fascismo. Quella, culturalmente la sua genitrice, ha continuato ad amare, questo ha condannato come un modo di pensare in prima linea antisvizzero, ma anche antitaliano. Ha reagito proprio come la Svizzera tedesca di fronte al nazionalsocialismo, la quale respinse le dottrine di Hitler senza rinnegare la Germania. Si può anzi dire che Ticino e Svizzera tedesca abbiano ancora una volta dimostrato, alla prova dei fatti, l’esistenza di un comune ideale elvetico ().

Arminio Janner

Forse anche sull’onda dell’entusiasmo successivo al 25 luglio 1943, nell’articolo Janner descrive un Ticino compattamente antifascista, dove addirittura l’attività del Circolo di lettura di Lugano era segretamente tale: qui, scrive Janner, “moderni scrittori italiani, antifascisti nell’animo, venivano presentati come scrittori del regime”.

Il dopoguerra: lo scontro tra “Svizzera italiana” e “Libera stampa”

Dalla fine degli anni Quaranta e lungo tutti gli anni Cinquanta il concetto di italianità elvetista fu al centro di un ampio dibattito tra “Svizzera italiana” e i socialisti ticinesi del quotidiano “Libera Stampa”. Secondo questi ultimi, se durante la guerra la dottrina dell’elvetismo – che si rifaceva a un’idea di Svizzera premoderna, alpina, incontaminata – si era erta a difesa spirituale della Svizzera e del suo pluralismo democratico, dopo la caduta del fascismo essa assecondava spinte sostanzialmente conservatrici, se non reazionarie, e rischiava di confinare la nazione in una posizione di autoesclusione dal resto dell’Europa.

Tale discorso si collegava inoltre al sempre vivo dibattito sull’intedeschimento, visto come un pericolo sempre maggiore per la conservazione dell’italianità ticinese. Oltre all’indole conservatrice dell’elvetismo, i socialisti ticinesi criticavano la troppa apertura di Calgari e Janner verso la Svizzera tedesca. Nell’articolo Italianità (in “Libera Stampa”, 23 marzo 1954 ) Eros Bellinelli li accusò (i loro nomi non si leggono, ma sono in filigrana) di comportarsi in tal modo per salvaguardare i propri interessi personali di carriera, dimostrando poca attenzione per il cantone:

La crisi dell’italianità del nostro paese è una crisi d’uomini. Fino a quando la nostra “intelligentia” curerà solo i suoi affari salverà, sì, i propri interessi, ma indebolirà la patria: perché la patria – se non erro – dovrebbe essere gli affari di tutti e non solo dell’”intelligentia” e del ceto da cui emana.

ERos Bellinelli

Negli anni Cinquanta tale dibattito assunse anche toni molto accesi, con attacchi personali, denunce e azioni legali.


Voci correlate: Elvetismo, Intedeschimento, Plurilinguismo, Difesa spirituale del Paese, Italianità, Fascismo, Alpi.

Personalità correlate: Fritz Ernst, Giovanni Ferretti, Francesco Chiesa, Eros Bellinelli, Guido Calgari, Arminio Janner, Giuseppe Zoppi, Giovan Battista Angioletti.

Organi culturali correlati:
“Libera Stampa”, “Svizzera italiana“,
Centro Studi per la Svizzera italiana,“Archivio storico della Svizzera italiana”.


Testi di riferimento

  1. Mario Agliati, recensione a Mario Pedrazzini, La lingua italiana nel diritto federale svizzero, in “Svizzera italiana”, 106, giugno 1954 ().
  2. Eros Bellinelli, Italianità, in “Libera stampa”, 23 marzo 1954 ().
  3. Francesco Chiesa, Svizzera italiana e Italia, in “Corriere del Ticino”, 22 marzo 1941 ().
  4. Fritz Ernst, Italianità del Ticino: l’opinione di uno svizzero tedesco, in “Svizzera italiana”, 83, novembre 1950 ().
  5. Arminio Janner, Senso della Svizzera e problemi del Ticino, Istituto Editoriale Ticinese, Bellinzona, 1937.
  6. Arminio Janner, Fede nell’Italia, in “Svizzera italiana”, 3, agosto 1943 ().
  7. Lombardo, recensione ad Arminio Janner, Senso della Svizzera e problemi del Ticino (Istituto Editoriale Ticinese, Bellinzona, 1937), in “Archivio storico della Svizzera italiana”, gennaio-giugno 1937 ().
  8. Reto Roedel, La lingua italiana e la cultura in Svizzera, in “Svizzera italiana”, 75, luglio 1949.
  9. De Salis, Situazione culturale della Svizzera, in “Svizzera italiana”, 107, agosto 1954.
  10. Giuseppe Zoppi, Collaborazione culturale in Svizzera, in “Giornale del Popolo”, 31 agosto 1938 ().
  11. Giuseppe Zoppi, Italianità, in “Corriere del Ticino”, 24 novembre 1945 ().


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