La gita a Chiasso

Trent'anni di sconfinamenti culturali tra Svizzera e Italia (1935-1965)

A C D E F I
Ed El Eu

Europa

Nel trentennio 1935-1965, e per quel che nello specifico riguarda i rapporti culturali italo-svizzeri, il binomio Svizzera – Europa viene declinato secondo prospettive assai diverse ma che hanno in comune l’idea della Svizzera come Europa in miniatura. Le connotazioni semantiche dei termini comparati mutano tuttavia in modo rilevante a seconda del contesto nazionale, politico, socio-economico e ideologico entro i quali vengono applicati.

Il pluralismo come valore democratico

Durante il periodo fascista la propaganda del Regime mussoliniano, implicitamente avallando posizioni come quelle del friburghese Gonzague de Reynold sostenitore nel 1938 di un nuovo ordine autoritario della Confederazione, faceva della Svizzera il termometro di una presunta irrequietezza delle “vecchie” democrazie europee di fronte alla tentazione di seguire il “nuovo” modello trionfante delle forze dell’Asse (paradigmatico in tal senso l’articolo di Giovanni Ferretti apparso su «Primato» nel 1940 col titolo Europa in miniatura ). A tale retorica facevano da contraltare posizioni come quelle dello storico Jean Rudolf von Salis il quale in un articolo pubblicato nel 1942 sul quotidiano «Die Tat» (Die Stellung der Schweiz in Europa ) opponeva ai disegni di riordinamento dell’assetto politico europeo vagheggiato dalle mire espansionistiche e irredentiste delle forze dell’Asse, una netta e decisa rivendicazione dei valori liberal-democratici e con essi del rispetto, sul modello svizzero, della pluralità etnica, religiosa e linguistica quali elementi costitutivi dell’idea stessa di Europa. Von Salis inoltre metteva in guardia di fronte ai pericoli delle rotte isolazionistiche, ricordando come l’Europa, e con essa la Svizzera in quanto suo «verkleinertes Abbild», non potesse in alcun modo prescindere a livello sia politico che economico e culturale da una rete di scambi e relazioni non solo europea bensì mondiale.

L’«elvetismo europeo»

Più ambigue risultavano invece le posizioni di quegli intellettuali elvetici che ricorrevano alla retorica della Difesa spirituale del Paese, varata nel 1938 quale dottrina ufficiale della politica culturale della Confederazione. Negli interventi pubblici di autorevoli mediatori della cultura italofona in Svizzera quali Giuseppe Zoppi, Theophil Spoerri o Fritz Ernst (tutti attivi nel contesto zurighese) è infatti ricorrente l’immagine della Svizzera plurilingue quale custode e baluardo di un non meglio precisato «spirito europeo» (sostanzialmente identificato con la tradizione dell’umanesimo), in una retorica identitaria perfettamente funzionale e sovrapponibile al discorso dell’elvetismo (si veda ad esempio il testo della conferenza pronunciata da Zoppi il 29 novembre del 1940 sulla Vocazione europea della Svizzera →).

La questione della neutralità

Nell’immediato dopoguerra i mutati rapporti di forza tra le potenze mondiali con l’Europa stretta tra gli Stati Uniti da un lato e l’Unione Sovietica dall’altro, condussero alcuni osservatori a riflettere sull’opportunità di applicare i termini della neutralità elvetica all’Europa intera. «Dopo la seconda guerra mondiale», scriveva ad esempio un’autorevole figura del panorama politico-culturale italiano come Luigi Salvatorelli, «il rapporto Europa-mondo si è capovolto […]. Non l’Europa governa il mondo, ma il mondo l’Europa. […] L’Europa è divenuta oggetto, e non soggetto di guerra» . In questo senso, proseguiva Salvatorelli,

quella neutralità – cioè quella “non guerra” – che per la Svizzera è un elemento costitutivo nazionale, per l’Europa è divenuta, di un colpo, una necessità fisica. […] Occorre oggi un sistema di neutralità europea, come nel 1815 si riconobbe la necessità di una neutralità svizzera.

Il modello federalista

Questo significativo scritto di Salvatorelli usciva nel 1947 su «Svizzera italiana», una rivista bimestrale che a partire dal gennaio del 1947 era divenuta l’organo ufficiale delle Associazioni italo-svizzere di cultura. Ebbene in questa stessa sede trovarono eco le tesi elaborate da Altiero Spinelli e Ernesto Rossi nel Manifesto di Ventotene (1941-1943), precedentemente circolate negli ambienti della Resistenza e dei fuoriusciti italiani. Dall’osservatorio italiano infatti si guardava ora alla Svizzera come ad un modello per la costituzione di un federalismo europeo, come autorevolmente testimonia un discorso di Gaetano Salvemini pubblicato sul numero 66 del dicembre del 1947 :

Se tutti gli uomini fossero animali ragionevoli […] gli uomini dell’Europa avrebbero appreso dagli Svizzeri a formare una federazione, che rendesse impossibile la guerra fra i popoli federati. […] È possibile sperare che questa Europa scombinata abolisca il diritto di guerra fra le nazioni pigmee che la abitano e si organizzi in federazione sul modello svizzero?

A portare avanti questo ideale federalista fu negli anni successivi, e fino alle soglie del 1960, una figura centrale dei rapporti italo-svizzeri nel dopoguerra, ovvero Egidio Reale. 1 .


Voci correlate: Elvetismo, Plurilinguismo, Difesa spirituale del Paese, Italianità, Fascismo.

Personalità correlate: Fritz Ernst, Giovanni Ferretti, Egidio Reale, Gonzague de Reynold, Jean Rudolf von Salis, Luigi Salvatorelli, Gaetano Salvemini, Theophil Spoerri, Giuseppe Zoppi.


ab

  1. Sulla figura di Reale si veda il volume di Sonia Castro, Egidio Reale tra Italia Svizzera e Europa, Milano, Franco Angeli, 2011

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