La gita a Chiasso

Trent'anni di sconfinamenti culturali tra Svizzera e Italia (1935-1965)

A C D E F I

Difesa spirituale del Paese

Per difesa spirituale del paese, meglio nota come “geistige Landesverteidigung”, si intende uno specifico indirizzo di politica culturale svizzera che trova i propri fondamenti ideologici nel cosiddetto “elvetismo”. Il manifesto poltico di questa prassi di organizzazione della cultura (i cui retaggi permangono palpabili fino almeno alla fine degli Anni Sessanta) può essere individuato nel “messaggio del consiglio federale svizzero sull’organizzazione e i compiti della conservazione e promozione culturale svizzera” pronunciato dal presidente Philipp Etter il 9 dicembre del 1938. Si trattava in sostanza di un richiamo all’unità nazionale di fronte alla minaccia sempre più concreta di un’invasione del territorio elvetico da parte delle truppe dell’asse. Richiamo all’unità inteso come presa di coscienza dei valori specifici dell’identità elvetica, valori in primo luogo spirituali:

«In un periodo di sconvolgimenti spirituali» – esordiva Etter nel citato messaggio – «un popolo che possiede una ferma volontà di autodeterminazione non può sottrarsi ai nuovi compiti che gli si pongono. Negli ultimi anni il nostro paese ha impiegato mezzi enormi e misure prima di allora inaudite per la propria difesa militare ed economica. Nel frattempo in cerchie sempre più vaste è tuttavia maturata la consapevolezza che la difesa del paese non può limitarsi unicamente alle armi e all’economia. La necessità di una difesa anche spirituale del paese è stata così negli ultimi anni oggetto di accesi dibattiti sia da parte della stampa, che dalle associazioni e assemblee nazionali. Da tutte le parti si è alzato sempre più forte il coro per la mobilitazione delle forze spirituali in funzione dell’autoaffermazione spirituale e politica del nostro stato».

Philipp Etter

Nell’anno dell’«Anschluss», del varo delle leggi razziali e dell’intensificarsi dei fragori di guerra, la morsa della propaganda fascista e nazionalsocialista che attanagliava la Svizzera si faceva sempre più soffocante. Si trattava dunque di «difendere il paese dai tentacoli del nazionalismo fondato sull’unità di “stato”, “popolo”, “cultura” e “razza”» facendo leva su quelli che venivano considerati i valori peculiari del modello elvetico, ossia una nazione fondata nel rispetto e nell’unione della diversità linguistica, culturale e religiosa. «La concezione dello stato svizzero, scriveva Etter, non è nato dall’idea di razza, non è nato dalla carne, bensì dallo spirito». Ed era esattamente questo spirito che andava difeso, che poi altro non era se non una forma di nazionalismo che, a differenza del fascismo e del nazionalsocialismo, rifiutava il concetto di razza e con esso le aspirazioni irredentiste delle forze dell’asse.

In linea con la direzione di intervento indicata da Etter molti intellettuali svizzeri – tra cui Reto Bezzola, Francesco Chiesa, Gonzague de Reynold, Fritz Ernst, Thephil Spoerri, Giuseppe Zoppi per citarne solo alcuni – si impegnarono nella diffusione dell’ideologia dell’elvetismo tramite interventi radiofonici, conferenze pubbliche, articoli giornalistici, scritti divulgativi di ogni genere. Furono create nuove istituzioni a sostegno di tali iniziative quali la Pro Helvetia, la Neue Helvetische Gesellschaft e il Gotthard-Bund.

In uno studio molto interessante sulla messa in scena mediatica della difesa spirituale della nazione, Dominik Schnetzer ha ben evidenziato come nella propaganda elvetista degli anni Trenta la Svizzera venga ridotta ad un idillio agreste e folcloristico circoscritto all’altopiano alpino. Modernizzazione, urbanizzazione, industria, lotte operaie sono realtà escluse da questa rappresentazione. Fatto inaudito se si considera che alla fine degli Anni Trenta la Svizzera era già un paese altamente industrializzato la cui popolazione si concentrava nei grossi centri urbani. Stando ai dati statistici tra il 1850 e il 1910 la percentuale della popolazione contadina scese drasticamente dal 57% al 27%. Col richiamo all’ideologia contadina, l’elvetismo mira dunque implicitamente a bypassare la fondazione della Svizzera come stato moderno, ossia la costituzione del 1848, preferendo fare riferimento alle origini medievali della Confederazione e quindi a tutto l’addentellato mitologico che ruota intorno al 1291, al Rütli e alla figura di Guglielmo Tell.

Dell’onda lunga di quest’imponente operazione di organizzazione del consenso tramite l’allineamento delle istituzioni culturali all’ideologia elvetista è testimone un libretto di Max Frisch, Wilhelm Tell für die Schule (1971) in cui lo scrittore zurighese decostruisce lucidamente l’apparato mitologico riconducibile agli imperativi della “difesa spirituale del Paese”.


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