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     Dialogo di Ruysch

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Ironia

L’ironia non è presente nel Coro, ma durante il dialogo il lettore può avvertire un tono che si alterna fra il macabro e il grottesco. L’ironia presente in varie battute del dialogo e nella totalità della situazione appare come la condizione stessa dell’assurdità del vivere. La prima battuta di Ruysch difatti offre un assaggio della costante presenza d’ironia. Dice il personaggio Ruysch – «Diamine! Chi ha insegnato la musica a questi morti, che cantano di mezza notte come galli?» (Leopardi: 2002: 177). Sono queste esclamazioni, con una sfumatura d’ironia, che presentano il tema che seguirà e sarà punto focale dell’intero dialogo, ovvero la morte.

In una lettera allo Stella, Leopardi giustifica la sua mancata introduzione alle Operette e accenna a «quel tuono ironico che regna in esse» (Secchieri 1992: 41). Fin dall’inizio il lettore percepisce un velo di sana ironia che è costante e dona all’intera operetta un tocco di leggerezza, nonostante la materia sia seria e profonda. La morte è interrogata da un umano, che dialogando con chi è passato nell’aldilà cerca di soddisfare le sue curiosità. La prima parte del dialogo è fondata su parole che hanno uno spirito macabro e che non sono solo volgari, come dice il Binni (1987: 84), ma indicano anche toni irreali e talvolta surreali, come ad esempio i morti che «escono pel buco della chiave»(Leopardi: 2002: 177). L’ironia che fa sorridere il lettore è soprattutto creata attraverso le battute di Ruysch che sono sempre temperate di un tono sottile e canzonatorio come ad esempio «In somma, se vorrete continuare a star quieti e in silenzio, come siete stati finora, resteremo in buona concordia, e in casa mia non vi mancherà niente; se no, avvertite ch’io piglio la stanga dell’uscio e vi ammazzo tutti» (Leopardi: 2002: 177).

Secchieri dice inoltre che l’ironia nelle Operette «tende ad identificarsi con la poetica e con la pratica della contraddizione, costituendo uno spazio tensivo che è il paesaggio costante di una rappresentazione, eticamente esemplare pur nella sua ribadita negatività, delle dinamiche paradossali dell’essere e dell’agire» (1992: 48). Nell’operetta analizzata vi sono vari elementi che confermano la teoria del Secchieri come ad esempio il fatto stesso che il luogo dove si svolge la vicenda è sempre lo stesso, il laboratorio di Ruysch. La rappresentazione di negatività si può ritrovare nel fatto del far parlare il nulla, ossia i morti che sono un’entità priva di vita. Qui, a mio avviso, si può rievocare il discorso, che la «resurrectio mortuorum» leopardiana va contro la tradizione, e in questo senso assume un carattere negativo. A tutto ciò si aggiunge il lato ironico che verte sulla contraddizione vera e propria contenuta nell’operetta. Innanzitutto il tono quasi sarcastico del seguente passaggio: «Figliuoli, a che giuoco giochiamo? Non vi ricordate di essere morti? […] e vi pensate di non essere più soggetti alle leggi di prima?» (Leopardi: 2002: 177) mostra il carattere tagliente dell’operetta. Qui sono tirate in ballo sia le leggi fisiche che la capacità di serbare memoria da parte dei morti. Il fatto che i morti non sono capaci di ricordare è già accennato dal «carmen mortuorum» che parla di una «confusa ricordanza» (Leopardi: 2002: 176). Inoltre, le leggi fisiche e la temporanea resurrezione, sono influenzate dall’occorrenza dell’«annus magnus», o altresì «anno matematico» (Leopardi: 2002: 177).

Una successiva esclamazione, dello stesso genere contraddittorio si trova verso la fine dell’operetta, quando Ruysch cautamente si accinge a verificare la “morte dei morti” dicendo: «Figliuoli, non m’intendete? Sarà passato il quarto d’ora? Tastiamogli un poco. Sono rimorti ben bene: non è pericolo che mi abbiano da fare paura un’altra volta: torniamocene a letto» (Leopardi: 2002: 182) Il finale dunque chiude con una sottile ironia che dimostra ancora la grande capacità dialettica del Leopardi nel trattare un tema delicato come la morte con una scioltezza, amalgamando il comico al macabro, tanto da farla sembrare quasi un carattere fumettistico.