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1811 - 1815: Lo studio «matto e disperatissimo»
Il conte Monaldo oltre ad essere egli stesso un grande studioso, aveva allestito una biblioteca con raccolte letterarie di vario genere.
Questa fu poi anche alla base della formazione di Giacomo e dei suoi fratelli.
Giacomo dopo l’educazione impartitagli dal padre stesso e da due sacerdoti gesuiti, ancora in tenera età, da autodidatta s’immerse in uno studio «matto e disperatissimo».
Studiò l’ebraico e le lingue moderne e raggiunse un’ottima conoscenza delle lingue classiche.
Questo fu il periodo più fruttuoso della sua vita, sebbene in questo momento iniziasse anche la sua decadenza fisica.
Il suo impegno diede frutto a varie opere erudite tra cui: La Storia dell’astronomia (1813) e il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi (1815).
Fra le sue opere di questi anni vi sono anche vari discorsi su scrittori classici, traduzioni poetiche, molti versi anche in greco, come ad esempio Il Commentario di Porfirio e la Batracomiomachia, ed inoltre due tragedie la Virtù indiana, Pompeo in Egitto e le Dissertazioni filosofiche.
La sua produzione letteraria, così fruttuosa, fu sempre accompagnata dai sogni di gloria e dal suo desiderio di evadere dalla vita monotona quotidiana.
Col passare del tempo, il suo sforzo fisico consumò senza gioia la sua vita e mise a rischio la sua salute, tanto che alle soglie della giovinezza si ritrovò fisicamente danneggiato: con il mal d’occhi, una malattia nervosa e una deviazione della spina dorsale che lo ridussero ad una condizione d’inferiorità.
L’angoscia apportata dalla malattia, già in età giovanile, accese nuovamente in lui una crisi spirituale presente da tempo (Petronio: 1994).
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