La gita a Chiasso

Trent'anni di sconfinamenti culturali tra Svizzera e Italia (1935-1965)

Trivium (1942-1952)

a cura di Diego Stefanelli

Persone: Theophil Spoerri, Emil Steiger
Luoghi: Zurigo
Organi culturali: Atlantis Verlag
Archivi: Biblioteca Centrale di Zurigo

Fondazione e scopo della rivista

La rivista Trivium. Schweizerische Vierteljahresschrift für Literaturwissenschaft und Stilkritik consta nel complesso di nove volumi compresi tra il 1942 e il 1951. Ogni fascicolo si componeva di tre o quattro articoli, seguiti da una sezione di recensioni (la Chronik) e una di Glossen (nel primo volume Miszellen), con commenti a brevi passi di opere letterarie, filosofiche e critiche. Le lingue della rivista erano il tedesco, il francese e l’italiano.

La rivista era pubblicata a Zurigo dalla Atlantis Verlag, ed era espressione dell’ambiente culturale e accademico gravitante attorno a due protagonisti dell’ateneo zurighese: Theophil Spoerri, professore di Romanische Philologie (1922-1956) ed Emil Staiger, dal 1943 professore di Deutsche Literatur. Come scrisse Spoerri nell’articolo di apertura (Über Literaturwissenschaft und Stilkritik), l’approccio metodologico di Trivium era la stilistica, dal momento che solo l’analisi formale (la Form) poteva garantire agli studi letterari la stessa obiettività che caratterizzava la linguistica. L’intento era di creare (scrisse ancora Spoerri in un altro articolo del secondo numero) una «revue qui aurait une physiognomie [sic] nouvelle et nettement marquée. La ligne que nous nous étions promis de suivre était que chaque fait constaté sur le plan des idées devait trouver sa correspondance sur le plan de l’expression» (Lettre à un collaborateur).

L’impianto teorico

La Stilkritik di Trivium occupa una posizione peculiare nel contesto di quegli anni: era una stilistica che, su una sempre rivendicata base formale, si avventurava in inediti confronti con la filosofia esistenzialista, con il pensiero di Heidegger e con altre correnti filosofiche di quegli anni. Come scriveva Gerda Neukomm-Zeltner nel 1950 a proposito di un volume di Spitzer (A Method of Interpreting Literatur) anche la stilistica non poteva fare a meno di rispondere alla Existenzfrage (243) che stava alla base di ogni attività critica. Un peso determinante in tale declinazione peculiare della Stilkritik ebbe l’opera e l’insegnamento di Spoerri stesso, caratterizzati da un’inquietudine filosofico-morale che investiva direttamente l’analisi formale: come si legge in Stil der Ferne, Stil der Nähe (1944), uno Stilkritiker poteva, e anzi doveva, fornire attraverso l’analisi di un’opera una «existenzielle Diagnose über eine ganze Epoche» (32).

Il nome della rivista

Il nome Trivium, come spiegava ancora Spoerri nell’articolo programmatico, aveva una duplice funzione: da una parte, alludeva alle arti liberali nella divisione medievale tra quadrivio e trivio; dall’altra, rispecchiava la volontà della rivista di porsi come crocevia fra le tre diverse «Kulturstrassen» della Svizzera (intesa come «Dreiweg» europeo, p. 3). Proprio l’identità svizzera di Trivium influì notevolmente sulla sua ricezione, soprattutto nel campo della germanistica. Come scriveva Samuel Dickinson Stirk nel 1947, presentando Trivium sulle pagine della rivista Monatshefte della University of Wisconsin-Madison, «particularly for “Germanisten”, Switzerland has become as never before a treasure-house and a last hope» (197). Nel complesso, la tragedia della guerra da una parte e dall’altra la necessità di fare il punto, una volta concluso il conflitto, su quello che l’Europa voleva e poteva essere, erano i Leitmotive – più o meno espliciti – di molti articoli della rivista.

Collaboratori

Tra i collaboratori più assidui di Trivium troviamo esponenti del mondo culturale svizzero: tra gli altri, accanto ai due fondatori, la studiosa e giornalista zurighese (della Neue Zürcher Zeitung) Gerda Zeltner-Neukomm; Erich Brock, studioso di Ernst Jünger, professore di filosofia a Zurigo e autore di studi letterari di impianto filosofico; la moglie Elisabeth Brock-Sulzer, insegnante, giornalista e traduttrice; Reto Raduolf Bezzola, dal 1938 professore a Zurigo di Italienische, französische und rätoromanische Literatur ; l’importante germanista zurighese Max Wehrli; Marcel Raymond e Jean Rousset.

Numerosi anche i collaboratori tedeschi. Vi scrissero, tra gli altri, Martin Heidegger e i germanisti Kurt May e Wolfgang Kayser. Significativa la presenza di studiosi di origine ebraica costretti all’esilio dal nazismo e tornati in Germania dopo la guerra (Richard Alewyn, Käte Hamburger, Werner Milch); o, come Werner Kraft e Ludwig Strauss, emigrati a Gerusalemme e rimastivi definitivamente. Presente sulla rivista anche uno dei più noti esponenti della stilistica novecentesca, l’austriaco Leo Spitzer (dal 1936 alla Johns Hopkins University).

Tra i non pochi collaboratori italiani di Trivium si registrano autori legati alla cultura ermetica, come Carlo Bo e Alessandro Parronchi; critici come Gianfranco Contini, Giuseppe De Robertis, Mario Fubini, Bonaventura Tecchi. Notevole la collaborazione di uno studioso come Fredi Chiappelli (dal 1946 al 1969 professore alle università di Losanna e Neuchâtel), in quegli anni interessato soprattutto alla poesia italiana contemporanea e al linguaggio di Ariosto e Tasso.

Meno presenti, nel complesso, i francesi (tra cui Henri Guillemin, Francis Ponge, Albert-Marie Schmidt). Un articolo di François Joseph Angelloz (Les études germaniques en France) fornisce però un’interessante chiave di lettura del ruolo storico della rivista nel suo complesso, iscrivendosi nella dialettica fra continuità e discontinuità col passato che caratterizza molti scritti di Trivium. Angelloz aveva in quegli anni un ruolo importante nella riorganizzazione della germanistica francese del Dopoguerra (fu, tra l’altro, rettore dell’Università del Saarland). Il suo scritto rispecchia non solo il difficile periodo storico di cui Trivium fu espressione, ma anche le speranze legate a una ricostruzione che doveva passare per una riorganizzazione culturale dell’Europa devastata, e che proprio in Svizzera poteva trovare un modello. Angelloz definiva la rivista un «symbole trilingue d’un pays où le patriotisme sait encore être cosmopolite» (165) e, alla fine dell’articolo, rivendicava l’importanza, in quel momento storico, dell’opera dei germanisti francesi, i quali «ont le sentiment que leur tâche est une des plus utiles qui soient, une des plus nécessaire, si l’on veut réaliser ce« Weltbürgertum », dont la Suisse donne l’exemple» (168).


Next Post

Previous Post

© 2024 La gita a Chiasso

Ein Forschungsprojekt des Romanischen Seminars der Universität Zürich