Messer Betto Brunnelleschi fa notare ai suoi compagni che le parole pronunciate da Cavalcanti non escono dalla bocca di uno "smemorato", cioè di un balordo, di uno stordito (cfr. Branca, p. 757 , 1992), ma calzano proprio a pennello, per il semplice fatto che questi si trovano circondati da arche, quelle stesse in cui si seppelliscono i morti e che Guido paragona alle case degli illetterati: "Gli smemorati siete voi, se voi non l'avete inteso: egli ci ha onestamente e in poche parole detta la maggior villania del mondo, per ci˜ che, se voi riguardate bene, queste arche sono le case de' morti, per ciò che in esse si pongono e dimorano i morti; le quali egli dice che son nostra casa, a dimostrarci che noi e gli altri uomini idioti e non letterati siamo, a comparazion di lui e degli altri uomini scienziati, peggio che uomini morti, e perciò, qui essendo, noi siamo a casa nostra" (Dec ., VI, 9, §14). La nona novella della sesta giornata si svolge proprio nel cuore dell'antico centro religioso della città di Firenze, e i sarcofagi qui menzionati, facevano realmente parte del sepolcreto medievale situato tra S. Reparata e il Battistero. In accordo con Watson, "molto più del"chi" e del "quando", è il "dove" di questa storia che convince il lettore" (cfr. WATSON, p. 306, 1989). In effetti per chiunque conosca il centro di Firenze, è facile ripercorrere il tragitto dei personaggi che si snoda tra Orsanmichele (VI 9,10), al tempo del Boccaccio un santuario per il culto mariano e granaio, lungo il corso degli Adimari (l'attuale via Calzaioli) per giungere, infine, al Battistero in piazza del Duomo. Eccoci quindi nel fulcro del Quadratum ecclesiae , di fronte al tempio fiorentino per antonomasia e centro della coscienza civica cittadina (cfr. CARDINI, p. 122, 1996); insomma, luogo carico di forti connotazioni simboliche e meta privilegiata di Guido per le sue speculazioni filosofiche. Le indicazioni di Elissa non potrebbero essere più precise: "essendo Guido partito d'Orto San Michele e venutosene per lo Corso degli Adimari infino a San Giovanni, il quale spesse volte era il suo cammino, essendo arche grandi di marmo, che oggi si trovano in Santa Reparata, e molte altre dintorno a S. Giovanni, e egli essendo tralle colonne del porfido che vi sono e quelle arche e la porta di S. Giovanni, che serrata era" (§ 10). I punti di riferimento della novella ci sono ancora. Le colonne di porfido (oggi fiancheggianti la porta est del Battistero, la cosiddetta porta del Paradiso), erano, ai tempi della narrazione e del Boccaccio, indipendenti dalla chiesa.



   


In seguito agli scavi del 1965-1973 eseguiti sotto il pavimento di S. Maria del Fiore e nella piazza antistante la facciata, si sono trovati i due fondamenti sui quali poggiavano le due colonne nella loro prima collocazione (1117-1429), e che ci permettono di ridisegnare il luogo com'era ai tempi dell'accaduto.


   



Per quanto riguarda la presenza in età medievale di sepolture in arche e avelli intorno al S. Giovanni, e anche di tombe interrate nella piazza fra questo e S.Reparata, ci sono, oltre a quella del Boccaccio, testimonianze di cronisti e documenti di Archivio (cfr. CARDINI, p. 192, 1996): il Villani, parlando dell'abbattimento della Torre del Guardamorto avvenuto nel 1248, dice che era così chiamata perché "anticamente tutta la buona gente che moria si seppelliva a S. Giovanni" (Cronica, libro VI, cap. XXXIII).


   



Inoltre, al sepolcreto in terra viene fatto riferimento quando fu stabilito, con una deliberazione del 3 febbraio 1390, di sopprimerlo a seguito della decisione di costruire la nuova Cattedrale e di rifare la pavimentazione (cfr. CARDINI, p. 192, 1996). Le esplorazioni archeologiche del 1971-72, infatti, riportarono alla luce le sepolture del cimitero.


   


Alcune delle arche menzionate nella novella, si conservano ancora ai nostri giorni: due sono nel Battistero, una agli Uffizi e, infine, due al Museo dell'Opera del Duomo: una di queste, esposta nel cortile del Museo è oggetto d'analisi nel saggio di


   

Watson, a cui rimando per tutto il discorso legato all'etimologia del termine "arca" e per le interpretazioni e associazioni da lui instaurate tra le figure scolpite sulla parte anteriore della tomba e la novella. Questo sarcofago "ha sul fronte tre nicchie divise da paraste scanalate: al centro è la porta dell'Ade da cui si affaccia Mercurio, guida dei defunti, con a fianco due Vittorie con trofei. Ai lati sono rappresentati i due coniugi defunti: l'uomo indossa la toga, ai suoi piedi sono il figlio e alcuni rotoli appoggiati su uno scrigno; la donna è velata, ed ha come attributi il pavone ed un fiore." ( materiale didattico dell'Opera di Santa Maria del Fiore, a cura di Claudia Soderi) Da questa breve descrizione e dall'immagine stessa dell'arca, balza subito all'occhio come la parte anteriore rechi scolpita un'opera architettonica, simile ad una casa, e se noi pensiamo che Boccaccio , a cui non era certo ignoto il ruolo escatologico di Mercurio (cfr. WATSON, p. 313, 1989) molto verisimilmente, poteva aver visto questo sarcofago esposto pubblicamente in piazza, allora l'associazione tra la casa dell'Ade qui scolpita e quella metaforica del motto cavalcantiano, non appare del tutto peregrina. Se non possiamo parlare di una fonte certa, purtuttavia non possiamo nasconderci il carattere suggestivo di questo dato. Si pensi infine alla mercurialità di Cavalcanti: infatti l'iconologia classica ci presenta Mercuruio come rapido ed eloquente; la parola è la speciale caratteristica di Mercurio, caratteristica anche della VI giornata del Decameron; l'eloquenza di Mercurio può diventare oracolare e criptica, come il motto di Guido; insomma "tutto questo ricorda l'impresa di Cavalcanti, una rapida risposta, una rapidità d'azione e di parola, una sparizione che lascia gli astanti sbalorditi. Cavalcanti, in una parola, è mercuriale" (WATSON, p. 314, 1989).