«Se soumettre ou se démettre»


Pio e Mario Perrone si trovano in difficoltà di fronte al mutamento della situazione politica. La loro adesione al movimento di Mussolini era stata tiepida e strumentale, nella misura in cui aveva promosso un nazionalismo “industriale”. In più, il fascismo aveva faticato ad attecchire in Liguria e soprattutto a Genova, sia perché non era stato in grado di esprimere un’alternativa alla vecchia classe dirigente, sia per la mancanza di una forte figura di riferimento locale ((Freschi, 2005, pp. 245-246)). Per facilitare la formazione del consenso venne fondato, il 18 agosto del 1923, il quotidiano «Il Giornale di Genova», diretto da Ferruccio Lantini e Giovanni Pala e finanziato dal gruppo industriale Odero e da Vittorio Emanuele Parodi, presidente della Federazione Armatori Liberi. Attraverso la testata, i gruppi industriali rivali dei Perrone lanciarono a questi ultimi diversi attacchi, che costrinsero «Il Secolo XIX» a chiarire le proprie posizioni.

Di qui la riorganizzazione della redazione del quotidiano e la risoluzione del “problema” Steno e delle altre voci dissidenti della redazione, Ferdinando Tenze e Giuseppe Baffico  ((Freschi, 2005, pp. 297-299)). Su questa linea va vista la decisione dei Perrone di ritirare i finanziamenti a «La Chiosa» (6 dicembre 1924) a causa dell’orientamento politico della rivista, che viene fortemente contestata dalla giornalista. Le sue ragioni, e cioè il nuovo carattere apolitico della testata (che, in effetti, aveva progressivamente abbandonato il commento dell’attualità politica) e la presenza di numerosi fasciste e fascisti nella redazione (8 dicembre 1924), non valgono a nulla, così come la proposta di Steno ai Perrone di comperare «La Chiosa», a suo tempo discussa con Salvatore Lopez.

Liquidata «La Chiosa», i Perrone invitano Steno a regolarizzare la sua situazione al «Secolo XIX». Steno compie in fretta tutte i passi necessari al “rientro nei ranghi”: con l’intercessione di Arturo Bocchini, prefetto di Genova, cede la tessera del partito liberale e, soprattutto, si libera de «La Chiosa», vendendola a Fanny Salvetti Bardi che, a sua volta, la cederà a Giacomo Calcagno, direttore del «Giornale di Genova» ((Picchiotti, 2010, p. 296)).