Sukasaptati

Come il Pañcatantra ed il Talmud  anche il Sukasaptati è una delle possibili fonti orientali che influirono su Boccaccio per la novella di Frate Cipolla. Le storie del pappagallo, come il Sukasaptati viene anche chiamato, è una collezione di racconti molto diffusi in oriente, che si raggruppano intorno a un racconto-cornice. In questo racconto-cornice è un pappagallo il protagonista, da cui anche il nome della raccolta. Per distogliere la moglie del suo padrone assente da un’adulterio, il pappagallo le racconta ogni notte una storia. La donna è talmente affascinata dalle sue doti narrative e dalle tematiche delle storie che prontamente si scorda dell'appuntamento galante mantendo così, al ritorno del marito, il suo onore. Poeti indiani, persiani e turchi si sono dedicati a questo tema. Mentre il racconto-cornice in tutte le versioni è simile, le storie raccontate dal pappagallo come distoglimento della donna si differenziano in quanto spesso caratteristiche per il paese corrispondente.

Il Sukasaptati è di origine indiana. Accanto ad alcune stesure in diverse lingue volgari (marathi, hindusthani, rajasthani), sono note tre versioni in sanscrito, né gli autori e neppure il periodo delle origini sono però assicurati. Alcuni studiosi suppongono che tutte le tre stesure colgano una più vecchia, altri però datano Le storie del pappagallo al tardo decimo secolo, poiché vi viene trattata la morale d’amore. Il racconto-cornice potrebbe però essere più vecchio. (HERRMANN, p.IX)

Nel Sukasaptati appare una storia simile a quella nel Pañcatantra. È stata tradotta in inglese da LEE e esiste anche un’edizione italiana a cura di FRANCESCA ORSINI intitolata Le storie del pappagallo – Sukasaptati ed un’edizione tedesca tradotta dal sancritto da RICHARD SCHMIDT.  LEE descrive la storia nel modo seguente:

“Nella città di Saneravati c’era un re di nome Somila, il quale aveva un ministro chiamato Sucila. Il figlio di Sucila si chiamava Vishnu. Fu mandato dal re come ambasciatore contro la guerra e con lo scopo di ristabilire la pace. Nonostante ciò, cadde in disgrazia del re e perse la sua posizione. Benché diventato povero, rimase orgoglioso e pieno di coscienza di sé e perciò il re non gli volle parlare. Un giorno, il ministro disse al re, <Mio figlio ama il re, è buono e studioso di politica, perciò vi imploro di mandarlo di nuovo come ambasciatore.> Il re che era di altro avviso, mise un po’ di cenere in una cassetta, la chiuse e disse al figlio del ministro, <Porta questo dal re di Anga.> Quando Vishnu arrivò dal re e la cassetta venne aperta, notò che conteneva soltanto cenere. Quando il re vide questo, si arrabbiò ed il figlio del ministro con grande presenza di spirito disse, <Il mio re ha appena sacrificato un cavallo e vi manda questa cenere che può salvare la vostra anima.> Quando il re sentì questo si alzò, abbracciò Vishnu, gli diede tanti regali e lo mandò indietro dal suo re.> (Cfr. LEE, p.180s.)

Nel sessantareesimo racconto della versione italiana di ORSINI i nomi dei protagonisti si distinguono da quelli nella versione di LEE. Tuttavia il contenuto è quasi lo stesso:

“Si fece di nuovo sera e Prabhavati si appellò al pappagallo perché  voleva andare da Vinayakandarpa. Il pappagallo rispose: <Se anche tu, Devi, sai rispondere come Devasarman dopo essere caduta in una situazione altrettanto difficile va’ pure>. Disse allora Prabhavati: <Come fece Devasarman a uscire da quella situazione difficile inventando una risposta singolare? Raccontamelo, ti prego!>. E così il pappagallo raccontò, esortato dalla giovane sposa:

<Un re di nome Ela, Prabhavati, regnava su una città chiamata Ela e aveva un ministro che decideva della pace e della guerra nel paese. Costui aveva un figlio, Devasarman. Alla morte del padre Devasarman prese a comportarsi secondo i suoi capricci, senza costrizione alcuna e senza curarsi di perpetuare la tradizione passata. Non prestava alcun ascolto alle parole degli anziani, e col tempo il re Ela finì per stimarlo ben poco e non gli diede più neanche l’appannaggio. La sua famiglia venne assediata dagli usurai che volevano riprendersi i soldi e cadde nell’indigenza.

Un altro ministro si rivolse allora al re dicendo: <<Sire, quel Devasarman è pur sempre un ministro di Vostra Maestà. Non bisognerebbe perciò preoccuparsi di lui? Affidategli ancora un incarico particolare, e se lui riuscirà a eseguirlo con proprietà potrete riaverlo di nuovo a corte e provvedere al suo sostentamento>>.

Il re diede ascolto alle parole del ministro e affidò a Devasarman un incarico per poter realizzare il proprio intento. Davanti agli occhi del ministro si fece portare due ampolle, le riempì di cenere e vi impose sopra il sigillo reale. Poi fece chiamare Devasarman e gli disse: <<Devi andare dal re Satrusudana e dirgli che questo è il tributo annuale mandatogli dal re Ela; poi dagli queste due ampolle a Devasarman -. Tra quel sovrano e me corre una salda amicizia; tu comportati di conseguenza>> con queste parole il re Ela congedò Devasarman, il quale si recò dal gran re Satrusudana secondo l’ordine ricevuto e depose davanti a lui le due ampolle proclamando: <<Ecco il tributo annuale che il re Ela vi mana>>.

Ma appena Satrusudana ruppe i sigilli e vide che le due ampolle erano piene solo di cenere fu colto da grande collera e decise di tagliare la testa all’ambasciatore. Ora dimmi tu, Prabhavati, come si comportò Devasaman in un momento del genere?>. All’udire queste parole Prabhavati si mise a riflettere con tutto l’ingegno che possedeva, ma non riuscì a risolvere il quesito. Perciò, passata la notte, lo chiese al pappagallo, il quale riprese a raccontare.

<Devasarman disse: <<Sire, il mio sovrano aveva fatto un sacrificio e ha mandato a Vostra Maestà le ceneri che si erano raccolte nel cavo del fuoco sacrificale. Dove si trovano queste ceneri si troverà sempre la fortuna divina e la prosperità del regno; esse inoltre annientano i tormenti causati dai demoni, fanno trasformare i nemici in amici e prolungano la vita. Quando il re Ela è venuto a conoscenza delle tante virtù di queste ceneri ha voluto mandarvele>>. A quest’ambasciata Satrusudana si rallegrò moltissimo, si inchinò davanti a quelle ceneri e ne cosparse la fronte della regina e delle principesse. Poi ebbe per Devasarman parole di onore come si conviene in queste occasioni.

Perciò, Prabhavati, se anche tu sei in grado di dare una simile risposta fa’ pure quello che ti sta a cuore>.”

Come nelle prime due traduzioni, cioè quella inglese e quella italiana, anche nella traduzione tedesca da SCHMIDT il contenuto del racconto è quasi lo stesso. Per quanto riguarda i nomi dei protagonisti si constata una grande similtudine con la versione raccontata da LEE. 

In questi tre racconti si nota senz’altro la somiglianza con la novella di Frate Cipolla, soprattutto per quanto riguarda la pronta risposta data dai due protagonisti. Non si sa però, se il Boccaccio avesse conosciuto o i racconti del Sukasaptati o del Pañcatantra o tutti e due. Ciononostante è probabile che almeno uno dei vari racconti fosse noto all’autore del Decameron.