Nella novella VI.5 è espressa una lode altissima sul genio artistico del pittore Giotto. Esso è chiamato "una delle luci della fiorentina gloria" e, più avanti, leggiamo la frase significativa:
"[...] ebbe uno ingegno di tanta eccellenzia, che niuna cosa dà la natura, madre di tutte le cose e operatrice col continuo girar de cieli, che egli con lo stile e con la penna o col pennello non dipignesse sì simile a quella, che non simile, anzi più tosto dessa paresse, in tanto che molte volte nelle cose da lui fatte si truova che il visivo senso degli uomini vi prese errore, quello credendo esser vero che era dipinto. [...] "
Lelogio di Giotto torna frequentemente nelle opere del Boccaccio. Nel Comento alla Divina Commedia (III, p.82), lo scrittore dà una definizione dellingegno di un artista. A suo avviso, larte alta si distingue per il suo grande realismo, capace di esprimere la natura vera e propria degli oggetti e, ingannando in questo modo locchio dello spettatore, di creare unillusione perfetta caratteristiche accentuate anche nella lode dellarte di Giotto della novella VI.5.
Nell Amorosa Visione (IV, 16) Boccaccio celebra, un'altra volta, il naturalismo eccezionale dellarte di Giotto:
?"[...] Humana man non credo che sospinta
mai fosse a tanto ingegno quanto in quella
mostrava ogni figura lì distinta,
eccetto se da Giotto, al qual la bella
Natura parte di sé somigliante
non occultò nellatto in che suggella.[...]"
In un capitolo della Genealogia Deorum Gentilium (XIV.6), Giotto viene messo sul piano medesimo di Apelle, il più celebre dei pittori greci.
Branca (BRANCA, 1992, p.737, nota 5) suppone che Boccaccio abbia visto e forse conosciuto personalmente Giotto a Napoli, quando lartista vi dimorò e dipinse dal 1328 al 1333. Un incontro dei due uomini non è, però, storicamente dimostrabile.
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Giovanni Boccaccio
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