Il nome « pastorale »


Caratteristiche particolari possiede quello che si può definire il nome « pastorale », vale a dire quell'onomastica allusiva che non è iscrivibile né nei meccanismi propri del racconto (imposizione del nome alla nascita, cambiamento di nome etc.), né in quella argomentazione a partire dal nome così frequente, in varie forme, nelle opere del Boccaccio. Si tratta, quindi, di quel tipo di nome molto spesso di derivazione grecizzante capace di rivelare le funzioni e le caratteristiche che poi il personaggio acquisterà nel corso della narrazione o, nel caso delle egloghe, nello sviluppo del dialogo. Onomastica allusiva, dunque, che appunto per la sua puntuale trasparenza allegorica, è sicuramente collocabile nell'ambito della tradizione medievale. Essa attraversa una buona parte della produzione letteraria del Boccaccio, facendo le sue prime apparizioni ancora nel Filocolo e caratterizzandosi sempre più evidentemente in quelle opere in cui l'ambientazione pastorale diventa l'ossatura portante, cioè nella Comedia delle ninfe fiorentine e nel Bucolicum carmen.

E infatti nell'Ameto lonomastica simbolica pastorale non si presenta in un momento particolare dell'opera, come nel Filocolo, ma ne riflette la struttura interna, e i nomi dei vari personaggi
vengono a trovarsi spesso in meticolosa corrispondenza l'uno con l'altro, si dispongono secondo uno studiato parallelismo che finisce con il tracciare le linee di un disegno stilizzato e gotico.
La ninfa Adiona, ad esempio, « dalle facce di Diana nomata » (XXVI, 7), ha un nome da cui innanzitutto traspare un accenno a quello di Dianora o Alianora di Niccolò Gianfiliazzi, una reale figura di donna conosciuta dall'autore. Ma l'accenno realistico subito si perde e già a partire da quel nome così significativo, Adiona, viene esplicitamente a prevalere l'intenzione allegorica che il Boccaccio intende attribuire alla ninfa. La figura della giovane svapora nel simbolo e così il nome si rivela conforme alle qualità possedute dal personaggio, vale a dire la temperanza e la pudicizia. Ma il problema non si limita a questo: la ninfa sarà infatti oggetto dell'amore di Dioneo il quale, come conferma un passo della lettera Mavortis milex extrenue: « a Dyona spurcissimum dyoneum » (II, p. 113), deriva il suo nome da quello della madre di Afrodite (Dione). Egli, quindi, sta a significare « il dissoluto » e la sua figura, come pure il suo nome, sono esattamente l'opposto della ninfa di cui accoglierà gli inviti amorosi. Così pure Acrimonia rinvia immediatamente al valore allegorico della giovane (la Fortezza), mentre Apaten, cioè l'apatico, ne costituisce il contrario e da Acrimonia sarà conquistato all'amore. I nomi in tal modo finiscono per simboleggiare i contrastanti e diversi caratteri dei personaggi i quali, a loro volta, non sono altro, specie quelli femminili, che ipostasi di valori concepiti come assoluti e universali.
(Luigi Sasso, p. 145/46)