La tradizione scritta ci ha consegnato due immagini differenti di Guido Cavalcanti: quella fiorentina, che si rifà soprattutto ai cronisti (Villani, Compagni) e al Sacchetti, tratteggiata secondo le linee di una Weltanschauung cittadina "borghese" e "popolare" cui doveva probabilmente dispiacere certa aristocraticità del personaggio: donde la nomea di uomo orgoglioso e ateo; e quella invece emblematica tramandataci da Dante e da Boccacio, scevra di quei pittoreschi attributi tipici del genere cronachistico. Interessante è inoltre notare come le due letture di Dante e di Boccaccio del personaggio Cavalcanti, siano, prescindendo dal testo delle Esposizioni -aderente ovviamente alle tesi dantesche- addirittura antitetiche. Dal confronto quindi dei connotati cavalcantiani così come emergono in Inferno X, in Decameron VI,9 e nelle Esposizioni sopra la Commedia, "viene fuori una diversa tipologia della cultura di cui Cavalcanti è appunto emblema e metafora" (MERCURI, p.55). Ma non solo: tra la novella decameroniana e il testo dantesco ci sono elementi di significativa coincidenza che rivelano la forte suggestione che quest'ultimo doveva operare sul Boccaccio, e le analogie testuali costituiscono un sistema di segnali la cui convergenza ha suggerito, al Mercuri, la possibilità di interpretare la novella di Boccaccio come "una risposta in cifra a Inf. X". In Inf X,26 inizia l'incontro di Dante con Farinata e Cavalcante con un preciso accenno a Firenze: infatti Farinata apostrofa Dante con l'appellativo di "tosco" (senhal che rimanda a Firenze), per poi specificare ulteriormente "di quella nobil patria natio". Con ciò si sottolinea l'appartenenza di Farinata e di Dante alla Firenze antica ed aristocratica. Anche Boccaccio fa iniziare la novella con un deciso cenno a Firenze che chiama "la nostra città", sottolineando così come l'azione avviene nella Firenze aristocratica, nella Firenze della "cerchia antica"(Pd, XV, 97), dove non erano state
ancora "discacciate" le "belle e laudevoli usanze" in seguito al declino degli ideali aristocratici e all'avvento della legge di mercatura che si caratterizza come "avarizia": Boccaccio, borghese di nascita ma aristocratico per cultura ed elezione, ribadisce e condivide la posizione dantesca sulla Firenze "nuova". Riassumendo, si ha dunque un senhal denotativo comune, Firenze, come pure la connotazione: la nobiltà della Firenze antica. Tuttavia Boccaccio, nel valutare l'esperienza intellettuale di Guido, si distacca nel Decameron dal giudizio dantesco, scindendo nettamente il credo filosofico di Guido dal suo presupposto ateismo; non va dimenticato che l'identificazione di epicureismo e ateismo viene dal Boccaccio stigmatizzata e ascritta alla gente "volgare", ossia agli incolti ( cfr. Dec. VI,9,9). Al contrario, Dante, nel canto degli eretici qualifica indirettamente l'esperienza filosofica del suo primo amico come atea e materialistica. Si noti come questo giudizio che relega Guido su di una linea di pensiero opposta, sia sottolineato dall'espressione "Guido vostro" (Inf.X,63), che ha la funzione di segnalare, come pure in altri luoghi della Commedia , un'esperienza diversa, di segno opposto da quella perseguita da Dante. Attraverso l'espressione "Guido vostro", Dante evidenzia "la frattura inconciliabile fra la propria esperienza e quella di Guido che segue i sentieri della «via non vera» di «coloro che l'anima col corpo morta fanno» (Inf. X,15): vostro, di voi epicurei versus nostro, di noi cristiani" (MERCURI, p. 66) Importante è sottolineare come nella novella decameroniana e nell'episodio dantesco sia riscontrabile la coincidenza di alcune parole-chiave: ambientazione identica: cimitero, fra arche ----> parola che ritorna puntualmente (Inf. X,29; Dec. VI,9,10). Si sottolinea così il nucleo significativo dei due testi incentrati sulla formula metaforica : morte fisica/ morte dello spirito e cimitero sepolcro/ condizione degli eretici (Dante) e degli incolti (Boccaccio). Il diverso atteggiamento di Dante e Boccaccio nei confronti di Guido è segnalato da due elementi: un senhal linguistico e uno scenico. SENHAL LINGUISTICO : "ha detto onestamente villania" (Dec. VI,9,14) "parlando onesto" (Inf. X,23) Probabilmente tale segno acquista in Boccaccio una duplice funzione significativa: risponde polemicamente contro l'integralismo di Dante, "per cui la prerogativa di parlare «onesto» è anche del filosofo epicureo; e una volta a confermare, in sintonia con Dante, la comune appartenenza di Dante e Guido alla Firenze antica. SENHAL SCENICO : uscita di scena di Cavalcante e Guido: il primo "supin ricadde e più non parve fora" (Inf. X, 72) il secondo "sì come colui che leggerissimo era" (Dec. VI,9,12) salta fra le arche con un movimento agile che denota dinamicità L'agilità di Guido nel sottrarsi all'imboscata della brigata è un ulteriore segno antifrastico a livello iconico della pesante ricaduta di Cavalcante nell'arca e quindi un ulteriore segno di vitalità antitetico al segno di morte, che Dante vuole comunicare attraverso la rappresentazione statica di Cavalcante, emblema della condizione di tutti gli eretici. Il motto finale costituisce poi il momento culminante della novella e il momento qualificante della risposta in cifra di Boccaccio a Dante. Infatti il motto della novella decameroniana ribalta sulla brigata di Betto l'accusa di essere morti alla vita dello spirito e dell'intelletto mossa da Dante agli epicurei e quindi indirettamente a Guido (cfr. Inf. X,13-15). Il cimitero in cui Dante colloca gli Epicurei corrisponde invece per Boccaccio al luogo adatto agli incolti e agli "idioti" come sono i messeri della brigata che "poco ...curava" (Dec. VI,9,8) i problemi filosofici e culturali. |