et Scultori italiani, da Cimabue insino atempi nostri,
Nelledizione per i tipi di Lorenzo Torrentino, Firenze 1550
A cura di Luciano Bellosi e Aldo Rossi
Presentazione di Giovanni Previtali
Torino, Einaudi, 1986
p.117-129
Quello obligo istesso che hanno gli artefici pittori alla natura,
la quale continuamente per essempio serve a
quegli che, cavando il buono da le parti di lei più mirabili
e belle, di contrafarla sempre s'ingegnano, il medesimo si
deve avere a Giotto. Perché, essendo stati sotterrati tanti
anni dalle ruine delle guerre i modi delle buone pitture et
i dintorni di quelle, egli solo, ancora che nato fra
artefici inetti, con celeste dono, quella ch'era per mala
via, resuscit, e redusse ad una forma da chiamar buona. E
miracolo fu certamente grandissimo che quella et e grossa
et inetta avesse forza d'operare in Giotto s_ dottamente,
che 'l disegno, del quale poca o nessuna cognizione avevano
gli uomini di que' tempi, mediante s_ buono artefice,
ritornasse del tutto in vita. E nientedimeno i principii di
s_ grande uomo furono nel contado di Fiorenza, vicino alla
citt XIIII miglia. Era l'anno MCCLXXVI nella villa di
Vespignano uno lavoratore di terre, il cui nome fu Bondone,
il quale era tanto di buona fama nella vita e s_ valente
nell'arte della agricoltura, che nessuno che intorno a
quelle ville abitasse era stimato pi di lui. Costui, nello
aconciare tutte le cose, era talmente ingegnoso e d'assai,
che dove i ferri del suo mestiero adoperava, pi tosto che
rusticalmente adoperati e' paressino, ma da una mano che
gentil fussi d'un valente orefice o intagliatore, mostravano
essere esercitati. A costui fece la natura dono d'un
figliuolo, il quale egli per suo nome alle fonti fece
nominare Giotto. Questo fanciullo, crescendo d'anni, con
bonissimi costumi e documenti mostrava in tutti gli atti,
ancora fanciulleschi, una certa vivacit e prontezza
d'ingegno straordinario ad una et puerile. E non solo per
questo invaghiva Bondone, ma i parenti e tutti coloro che
nella villa e fuori lo conoscevano. Per il che, sendo
cresciuto Giotto in et di X anni, gli aveva Bondone dato in
guardia alcune pecore del podere, le quali egli ogni giorno
quando in un luogo e quando in un altro l'andava pasturando,
e venutagli inclinazione da la natura dell'arte del disegno,
spesso per le lastre, et in terra per la rena, disegnava del
continuo per suo diletto alcuna cosa di naturale, o vero che
gli venissi in fantasia. E cos_ avenne che un giorno
Cimabue, pittore celebratissimo, transferendosi per alcune
sue occorrenze da Fiorenza, dove egli era in gran pregio,
trov nella villa di Vespignano Giotto, il quale, in mentre
che le sue pecore pascevano, aveva tolto una lastra piana e
pulita e, con un sasso un poco apuntato, ritraeva una pecora
di naturale, senza esserli insegnato modo nessuno altro che
dallo estinto della natura. Per il che fermatosi Cimabue, e
grandissimamente maravigliatosi, lo domand se volesse star
seco. Rispose il fanciullo che, se il padre suo ne fosse
contento, ch'egli contentissimo ne sarebbe. Laonde
domandatolo a Bondone con grandissima instanzia, egli di
singular grazia glielo concesse. Et insieme a Fiorenza
inviatisi, non solo in poco tempo pareggi il fanciullo la
maniera di Cimabue, ma ancora divenne tanto imitatore della
natura, che ne' tempi suoi sband_ affatto quella greca goffa
maniera, e risuscit la moderna e buona arte della pittura,
et introdusse il ritrar di naturale le persone vive, che
molte centinaia d'anni non s'era usato. Onde, ancor oggi d_,
si vede ritratto, nella cappella del Palagio del Podest di
Fiorenza, l'effigie di Dante Alighieri, coetaneo et amico di
Giotto, et amato da lui per le rare doti che la natura aveva
nella bont del gran pittore impresse; come tratta Messer
Giovanni Boccaccio in sua lode, nel prologo della novella di
Messere Forese da Rabatta e di Giotto.
Furono le sue prime pitture nella Badia di Fiorenza, la
cappella dello altar maggiore, nella quale fece molte cose
tenute belle; ma particularmente in una storia della Nostra
Donna, quando ella _ annunziata da l'Angelo, nella quale
contrafece lo spavento e la paura, che nel salutarla
Gabriello la f, mettere con grandissimo timore quasi in
fuga. Et in Santa Croce quattro cappelle, tre poste fra la
sagrestia e la cappella grande: nella prima, e dove si
suonono oggi le campane, vi _ fatto di sua mano la vita di
San Francesco, e l'altre due, una _ della famiglia de'
Peruzzi e l'altra de' Giugni, et un'altra dall'altra parte
di essa cappella grande. Nella cappella ancora de'
Baroncelli _ una tavola a tempera, con diligenza da lui
finita, dentrovi l'Incoronazione di Nostra Donna con
grandissimo numero di figure picciole et un coro d'angeli e
di santi, fatta con diligenzia grandissima, et in lettere
d'oro scrittovi il nome suo. Onde gli artefici, che
consideraranno in che tempo questo maraviglioso pittore,
senza alcun lume della maniera, diede principio al buon modo
di disegnare e del colorire, saranoo sforzati averlo in perpetua
venerazione. Sono ancora in detta chiesa altre tavole, et in
fresco molte altre figure, come sopra il sepolcro di marmo di
Carlo Marsupini aretino, un Crocifisso con la Nostra Donna e
San Giovanni e la Magdalena a piè della Croce. E da laltra
banda della chiesa, sopra la sepoltura di Lionardo Aretino, una
Nunziata verso laltare maggiore, la quald è stata ricolorata da altri
pittori moderni, come nel refettorio uno albero di croce e
storie di San Lodovico et un Cenacolo; e nella sagrestia, ne
gli armarii, storie di Cristo e di San Francesco. Nel
Carmino, alla cappella di San Giovanni Batista, lavorate in
fresco tutte le storie della vita sua, e nella Parte Guelfa
di Fiorenza una storia della fede cristiana in fresco,
dipinta perfettissimamente. Fu condotto ad Ascesi a finir
l'opera cominciata da Cimabue, dove passando da Arezzo
lavor nella pieve la cappella di San Francesco sopra il
battesimo et in una colonna tonda, vicino a un capitello
corinzio antico bellissimo, dipinse un San Francesco e San
Domenico. Al duomo fuor d'Arezzo una cappelluccia, dentrovi
la Lapidazione di Santo Stefano con bel componimento di
figure. Finite queste opere si condusse ad Ascesi, a l'opra
cominciata da Cimabue, dove acquist grandissima fama, per
la bont delle figure che in quella opera fece, nelle quali
si vede ordine, proporzione, vivezza e facilit donatagli
dalla natura e dallo studio accresciuta, percioch, era
Giotto studiosissimo e di continuo lavorava. Et allora
dipinse nella chiesa di Santa Maria de gli Agnoli e, nella
chiesa d'Ascesi de' frati minori, tutta la chiesa dalla
banda di sotto. Sent_ tanta fama e grido di questo mirabile
artefice Papa Benedetto XII da Tolosa che, volendo fare in
San Pietro di Roma molte pitture per ornamento di quella
chiesa, mand in Toscana un suo cortigiano, che vedesse che
uomo era questo Giotto e l'opere sue, e non solamente di
lui, ma ancora degli altri maestri che fussino tenuti
eccellenti nella pittura e nel musaico. Costui, avendo
parlato a molti maestri in Siena, et avuti disegni da loro,
capit in Fiorenza per vedere l'opere di Giotto e pigliar
pratica seco; e cos_ una mattina, arrivato in bottega di
Giotto che lavorava, gli espose la mente del papa et in che
modo e' si voleva valere dell'opera sua. Et in ultimo lo
richiese che voleva un poco di disegno per mandarlo a Sua
Santit . Giotto, che cortesissimo era, squadrato il
cortigiano prese un foglio di carta et in quello, con un
pennello che egli aveva in mano tinto di rosso, fermato il
braccio al fianco per farne compasso e girato la mano, fece
un tondo s_ pari di sesto e di proffilo, che fu a vederlo
una maraviglia grandissima. E poi, ghignando, volto al
cortigiano gli disse: Eccovi il disegno¯. Tennesi beffato
il mandato del papa, dicendo: Ho io <a> avere altro
disegno che questo?¯ Rispose Giotto: Assai e pur troppo _
quel che io ho fatto: mandatelo a Roma insieme con gli altri
e vedrete se sar conosciuto¯. Partissi il cortigiano da
Giotto, e quanto e' pigliasse mal volentieri questo assunto,
dubitando non essere uccellato a Roma, ne fece segno co 'l
non esser satisfatto nel suo partire; pure, uscito di
bottega e mandato al papa tutti e' disegni, scrivendo in
ciascuno il nome e di chi mano egli erano, tanto fece nel
tondo disegnato da Giotto e nella maniera che egli l'aveva
girato, senza muovere il braccio e senza seste, fu
conosciuto dal papa e da molti cortigiani intendenti quanto
egli avanzasse di eccellenzia tutti gli altri artefici de'
suoi tempi. E perci, divulgata<s>i questa cosa, ne nacque
quel proverbio familiare e molto ancora ne' nostri tempi
usato: Tu sei pi tondo che l'O di Giotto¯. Il qual
proverbio non solo per il caso donde nacque si pu dir
bello, ma molto pi per il suo significato, che consiste
nella ambiguit del tondo, che oltra a la figura circulare
perfetta significa ancora tardit e grossezza d'ingegno.
Fecelo dunque il predetto papa venire a Roma, onorandolo
grandemente e con premi riconoscendolo, dove fece la Tribuna
di San Pietro et uno angelo di sette braccia, dipinto sopra
l'organo, e molte altre pitture, parte ristaurate da altri
a' nostri d_, e parte nel rifondare le mura nuove, disfatte,
e traportate da lo edificio del vecchio San Piero fin sotto
l'organo; come una Nostra Donna che era in su<r> un muro,
il quale, perch, ella non andasse per terra, fu tagliato
attorno et allacciato co' travi e ferri, e murata di poi per
la sua bellezza dalla piet et amore che portava all'arte il
gentilissimo Messer Niccol Acciaiuoli, dottore fiorentino,
con altre restaurazioni moderne di pittura e di stucchi per
abellire questa opera di Giotto. Fu di sua mano la nave del
musaico, fatta sopra le tre porte del portico, nel cortile
di San Pietro, la quale fu s_ maravigliosa, et in quel tempo
di tal disegno, d'ordine e di perfezzione, che le lode
universalmente datele da gli artefici e da altri intendenti
ingegni meritamente se le convengono. Fu chiamato a Napoli
dal Re Ruberto, il quale gli fece fare in Santa Chiara,
chiesa reale edificata da lui, alcune cappelle, nelle quali
molte storie del Vecchio e Nuovo Testamento si veggono. Dove
ancora, in una cappella, sono molte storie dell'Apocalisse,
ordinategli (per quanto si dice) da Dante, fuor uscito
allora di Firenze e condotto in Napoli anch'egli per le
parti. Nel Castello de l'Uovo fece ancora molte opere, e
particularmente la cappella di detto Castello. E fu s_ da
quel re amato, che oltra la pittura pigli grandissimo
piacere del suo ragionamento, avendo egli alcuni motti et
alcune risposte molto argute, come fu quando dicendogli un
giorno il re che lo voleva fare il prim'uomo di Napoli, E
per ci¯, gli rispose Giotto, son io alloggiato vicino a
Porta Reale per esser il primo di Napoli¯. Et un'altra
volta, dicendogli il re: Giotto, s'io fusse in te, ora che
fa caldo, tralasserei un poco il dipignere¯, rispose: Et
io, se fussi in voi, farei il medesimo¯. Fecegli dunque
fare molte cose in una sala che il Re Alfonso Primo ruin
per fare il castello, e cos_ nella Incoronata. Dicesi che
gli fu fatto dal re dipignere per capriccio il suo reame,
per che Giotto gli dipinse uno asino imbastato, che teneva
a' piedi un altro basto nuovo e, fiutandolo, faceva segno di
desiderarlo; e su l'uno e l'altro basto era la corona reale
e lo scettro della podest . Domandato dunque Giotto da 'l
re, nel presentargli questa pittura, de 'l significato di
quella, rispose tali i sudditi suoi essere e tale il suo
regno, nel quale ogni giorno nuovo signore desideravano.
Ora, partitosi da Napoli, fu intertenuto in Roma dal Signor
Malatesta da Rimini, che condottolo nella sua citt
moltissime cose nella chiesa di San Francesco gli fece
dipignere; le quali da Sigismondo, figliuolo di Pandolfo,
che rifece la chiesa tutta di nuovo, furono guaste e
rovinate. Fece ancora nel chiostro di detto luogo, a
l'incontro della facciata della chiesa, la istoria della
Beata Michilina a fresco, che fu una delle pi belle et
eccellenti cose che Giotto facesse, per le leggiadrissime
considerazioni che ebbe questo rarissimo artefice nel
dipignerla. Perch,, oltra la bellezza de' panni, e la grazia
e la vivezza delle teste de gli uomini e delle donne, che
sono vivissime e miracolose, egli _ cosa singularissima una
giovane che v'_, bellissima quanto pi esser si possa, la
quale, per liberarsi da la calumnia dello adulterio, giura
sopra di un libro, con gli occhi fissi negli occhi del
proprio marito, che giurar la faceva per diffidanza d'un
figliuol nero partorito da lei, il quale in nissun modo che
suo fusse poteva credere. Costei (cos_ come il marito mostra
lo sdegno e la diffidenza nel viso) fa conoscere, con la
piet della fronte e de gli occhi, a coloro che
intentissimamente la contemplano, la innocenzia e la
simplicit sua, et il torto che se le faceva in farla
giurare, e nel publicarla a torto per meretrice.
Medesimamente grandissimo affetto fu quel ch'espresse questo
ingegnosissimo artefice in un infermo di certe piaghe; dove
tutte le femmine che vi sono dattorno, offese dal puzzo,
fanno certi torcimenti schifosi, i pi graziati del mondo.
Et in un altro quadro vi si veggono scorti bellissimi fra
una quantit di poveri attratti; et _ maravigliosissimo
l'atto che fa la sopradetta beata a certi usurai, che le
sborsano i danari della vendita delle sue possessioni, per
dargli a' poveri, e le pare che i denari di costor putino; e
vi _ uno che, mentre quegli annovera, pare ch'accenni al
notaio che scriva, e co 'l tenere le mani sopra i denari, fa
conoscere, con garbatissima considerazione, l'affezzione e
l'avarizia sua. Mostr Giotto in tre figure, che in aria
sostengano l'abito di San Francesco, figurate per
l'obedienza e la pazienzia e la povert , molta bella maniera
di panni, i quali con bello andare di pieghe, morbidamente
colorite, fanno conoscere a coloro che le mirano, che egli
era nato per dar luce all'arte della pittura. Ritrasse di
naturale il signor Malatesta in una nave, che pare
vivissimo; et alcuni marinai et altre genti che, di
prontezza e di affetto nelle attitudini loro, fanno
conoscere l'eccellenzia di Giotto, come si vede in una
figura, che parlando con alcuni si mette una mano al viso,
sputando in mare. E certamente, fra tutte le cose fatte da
Giotto in pittura, questa si pu dire essere una delle
migliori, perch, non vi _ figura, in cos_ gran numero di
figure, che non abbia in s, grandissimo e bell'artificio, e
non sia posta con capricciosa attitudine. E per non manc
il Signor Malatesta, vistosi nascere nella sua citt una
delle pi belle cose del mondo, premiarlo e magnificamente
lodarlo. Finiti i lavori di quel signore, pregato da un
prior fiorentino, che allora nella chiesa di San Cataldo, in
quella citt , era da' suoi superiori mandato, che egli
volesse dipignerli, fuor della porta della chiesa, un San
Tomaso d'Aquino che a' suoi frati leggesse la lezzione, esso
per l'amicizia che seco aveva non manc di satisfarlo,
faccendoli una pittura molto lodevole. E di quivi partito
and a Ravenna, et in San Giovanni Vangelista fece una
cappella a fresco lodata molto. Tornossi poi con grandissimo
onore e con grandissima facult a Fiorenza, dove in San
Marco fece un Crocifisso in sul legno grande lavorato a
tempera, maggiore che 'l naturale, in campo d'oro, il quale
fu messo a mano destra in chiesa; et un simile ne fece in
Santa Maria Novella, sul quale Puccio Capanna suo creato in
compagnia di lui lavor, et ancora oggid_ _ locato sopra la
porta maggiore nell'intrata della chiesa. Dipinse in fresco
nel medesimo luogo un San Lodovico, sopra al tramezzo della
chiesa a man destra, sotto la sepoltura de' Gaddi; e ne'
frati umiliati in Ogni Santi una cappella e quattro tavole.
E fra l'altre una, dentrovi una Nostra Donna, con molti
angeli attorno et il figliuolo in braccio; et un Crocifisso
grande in legno, da 'l quale Puccio Capanna, pigliando il
disegno, molti per tutta Italia ne lavor, avendo presa
molto la pratica e la maniera di Giotto. Nel tramezzo della
chiesa in detto luogo _ appoggiata una tavolina a tempera,
dipinta di mano di Giotto con infinita diligenza e con
disegno e vivacit dentrovi la Morte di Nostra Donna, con
gli Apostoli che fanno l'essequie, e Cristo che l'anima in
braccio tiene; da gl'artefici pittori molto lodata, e
particularmente da Michel Agnolo Buonaroti, attribuendole la
propriet della storia essere molto simile al vero. Oltra
che le attitudini nelle figure con grandissima grazia dello
artefice sono espresse. E veramente fu in que' tempi un
miracolo il vedere in Giotto tanta vaghezza nel dipignere e
considerare ch'egli avesse appreso quest'arte senza maestro.
Avvenne che, per aver Giotto nel disegno fatto una
bellissima pratica, li fu fatto fare molti disegni, e non
solamente per pitture, ma per fare delle sculture ancora;
come quando l'Arte de' Mercatanti volse far gettar di bronzo
le porte del Batisteo di San Giovanni, egli disegn per
Andrea Pisano tutte le storie di San Giovanni Batista, ch'_
quella porta che volta oggi verso la Misericordia. Ma quanto
e' valesse nella architettura lo dimostr nel modello del
campanile di Santa Maria del Fiore, che essendo mancato di
vita Arnolfo Todesco, capo di quella fabrica, e desiderando
gli operai di quella chiesa, e la Signoria di quella citt ,
che si facesse il campanile, Giotto ne fece fare co 'l suo
disegno un modello di quella maniera todesca che in quel
tempo si usava, e per averlo egli ben considerato, inoltre
disegn tutte le storie che andavano per ornamento in quella
opera. E cos_ scompart_ di colori bianchi, rossi e neri in
sul modello, tutti que' luoghi dove avevano andare le pietre
et i fregi, con grandissima diligenzia, et ordin che 'l
circuito da basso fussi in giro di larghezza de braccia
100, ci _ braccia 25 per ciascuna faccia e l'altezza
braccia 144 nella quale opera fu messo mano l'anno
MCCCXXXIIII e seguitata del continuo, ma non s_ che Giotto
la potessi veder finita, interponendosi la morte sua. Mentre
che questa opera si andava fabricando, fece egli, nelle
Monache di San Giorgio, una tavola, e nella Badia di
Fiorenza, in uno arco sopra la porta di dentro alla chiesa,
tre mezze figure, oggi dalla ignoranzia d'uno abbate fatte
imbiancare per illuminare la chiesa. Nella sala grande del
Podest di Fiorenza, per mettere paura a i popoli dipinse il
commune ch'_ rubato da molti; dove in forma di giudice con
lo scettro in mano a sedere lo figura, e le bilance pari
sopra la testa, per le giuste ragioni ministrate da esso, et
aiutato da quattro figure, dalla Fortezza con l'animo, dalla
Prudenzia con le leggi, dalla Giustizia con l'armi e dalla
Temperanza con le parole; pittura bella et invenzione
garbata, propria e verisimile. Partissi di Fiorenza per fare
nel Santo di Padova alcune cappelle, dove molto dimor,
perch, fece ancora nel luogo dell'arena una Gloria Mondana,
la quale gli diede molto onore. Et a Milano trasferitosi
quivi ancor lavor, et a Fiorenza ritornatosi, alli VIII di
gennaio nel MCCCXXXVI rese l'anima a Dio, onde da gli
artefici pianto et a' suoi cittadini assai doluto, non senza
portarlo alla sepoltura con quelle esequie onorevoli che a
una tanta virt com'era quella di Giotto si convenissi, et a
una patria come Fiorenza, degna d'uno ingegno mirabile come
il suo. E cos_ quel giorno non rest uomo, piccolo o grande,
che non facesse segno con le lacrime o co 'l dolersi della
perdita di tanto uomo. Il quale, per le rare virt che in
lui risplenderono, merit, ancora che e' fosse nato di
sangue vile, lode e fama certo chiarissima.
Il campanile di Santa Maria del Fiore fu seguitato e tirato
avanti da Taddeo Gaddi suo discepolo, in su lo stesso
modello di Giotto. Et _ opinione di molti, e non isciocca,
che egli desse opera alla scoltura ancora, attribuendogli
ch'e' facesse due storiette di marmo che sono in detto
campanile, dove si figurano i modi et i principii dell'arti,
ancora che altri dichino solamente il disegno di tali storie
essere di sua mano. Rest in memoria della sua sepoltura in
Santa Maria del Fiore, dalla banda sinistra entrando in
chiesa, un mattone di marmo, dove _ sepolto il corpo suo.
I discepoli suoi furono Taddeo sopradetto e Puccio Capanna,
che in Rimini nella chiesa di San Cataldo de' frati
predicatori, dipinse un voto d'una nave che par che affoghi
nel mare, con gente che gettano le robe nel mare. Et _vvi
Puccio di naturale, fra un buon numero di marinari. Fu
ancora suo discepolo Ottaviano da Faenza, che in San Giorgio
di Ferrara, luogo de' monaci di Monte Oliveto, dipinse molte
cose; et in Faenza sua patria, dove egli visse e mor_,
dipinse nello arco sopra la porta di San Francesco una
Nostra Donna con San Piero e San Paulo. E Guglielmo da
Forl_, che fece molte opere, e particularmente la cappella
di San Domenico nella sua citt . Furono similmente creati di
Giotto Simon Sanese, Stefano Fiorentino e Pietro Cavallini
romano, et altri infiniti, i quali molto alla maniera et
alla imitazione di lui s'accostarono. Rest nelle penne di
chi scrisse a suo tempo, e poi, tanta maraviglia del nome
suo, per esser stato primo a ritrovare il modo di dipignere,
perduto inanzi lui molti anni, che dal Magnifico Lorenzo
Vecchio de' Medici, facendosi egli di questo maestro ogni
giorno pi maraviglia, merit d'avere in Santa Maria del
Fiore la effigie sua scolpita di marmo; e dal divino uomo
Messer Angelo Poliziano lo infrascritto epitaffio in sua
lode, acci che quegli che verranno eccellenti e rari in
qual si voglia professione, debbino valorosamente
esercitarsi per avere di s_ fatte memorie, meritandole, in
lode loro dopo la morte, come fe' Giotto:
ILLE EGO SVM PER QVEM PICTVRA EXTINCTA REVIXIT
CVI QVAM RECTA MANVS TAM FVIT ET FACILIS
NATVRAE DEERAT NOSTRAE QVOD DEFVIT ARTI
PLVS LICVIT NVLLI PINGERE NEC MELIVS
MIRARIS TVRRIM EGREGIAM SACRO AERE SONANTEM?
HAEC QVOQVE DE MODVLO CREVIT AD ASTRA MEO
DENIQVE SVM IOTTVS. QVID OPVS FVIT ILLA REFERRE?
HOC NOMEN LONGI CARMINIS INSTAR ERIT.
)