Un altro culmine nella produzione giottesca, dopo Assisi e Padova, sono gli affreschi in S. Croce a Firenze. Il termine post quem per la loro datazione è il 1317, anno della canonizzazione di S. Ludovico di Tolosa che si vede rappresentato nella cappella Bardi.
Gli affreschi rispecchiano un momento molto lontano da Padova. La tensione drammatica è più ampia; permane la grandiosità sintetica e concisa del linguaggio giottesco, ma lo spazio non è più creato soltanto dal reciproco rapporto delle immagini e della loro azione: luna e le altre sono contenute, in una più pacata e obiettivata rappresentazione spaziale, affidata anche a strutture architettoniche. Il colore più fuso segue queste mutazioni spaziali e compositive (Grande Dizionario Enciclopedico UTET, IX, p.546).
John White nel suo libro intitoIato The Birth and Rebirth of Pictorial Space osserva che
"It is most exciting that these two fresco series, preserved by chance, and separated by well over a decade from the work of Padua, should, despite their highly individual qualities, reveal in full the striding steadiness of development and intensity of purpose which are characteristic of the greatest artists." (WHITE, 1976, p.72)
I due cicli di affreschi si trovano in uno stato cattivo, conseguenza, da una parte, dei lavori di restaurazione dilettanteschi, ma, daltra parte, anche della tecnica stessa della loro composizione. Gli affreschi di S. Croce non sono effettuati in buon-fresco metodo (che consiste nellapplicare i colori su fondo di gesso umido), bensì in fresco-secco tecnica (Giotto lavorò quindi su fondo di gesso secco): questa tecnica è più veloce del buon-fresco metodo, ma molto meno resistente.