Cimabue (1240 – 1301)

A proposito di Cenni di Pepo (cioè Bencivieni di Giuseppe) detto Cimabue, indubbiamente il pittore italiano di maggiore grandezza e forza poetica della fine del duecento, i documenti dell’epoca dicono poco.

Preziosa più dei documenti stessi è la testimonianza offerta dalla celebre terzina dantesca (Purg. XI, 94-97):

"Credette Cimabue ne la pittura

tener lo campo, e ora ha Giotto il grido,

sì che la fama di colui è scura"

Su questo vivissimo giudizio della situazione fiorentina alla fine del ‘200, contrassegnata da un’evoluzione rapida e inarrestabile, si è poi modellato nei due secoli successivi il parere degli storici e dei cronisti (commentatori della Commedia, Cennini, Villani, Ghiberti, Vasari, ecc.).

C’è da considerare anzittutto la cronologia del canto, perché il verbo al passato remoto ("Credette Cimabue", v. 94) parrebbe indicare un momento culturale in cui il grande fenomeno artistico di Cimabue si è comunque concluso nell’area comunale toscana, e non indipendentemente dal grado cui è pervenuta la fama giottesca quando Dante compone il canto XI (Enciclopedia Dantesca, II, p.2).

Intanto è indispensabile osservare che Cimabue doveva rappresentare per Dante, in pittura, il fenomeno artistico più saliente, attuatosi negli anni della sua giovinezza a Firenze. Anche perché questa pittura devozionale veniva a essere l’ultima forma di una tradizione religiosa di immagini giunta alle soglie del nuovo secolo senza soluzione di continuità; e in quanto tale, come portavoce di un passato ormai irrevocabile della cultura artistica fiorentina, doveva incontrare il favore dello spirito conservatore del poeta (Enciclopedia Dantesca, II, p.2).

Quadro cronologico

Anno
Vita
Opere
1240
È assai probabile che Cenni di Pepo nascesse a Firenze verso il 1240.  
1260
Esercita il suo tirocinio nella bottega di uno dei più avanzati pittori fiorentini di quegli anni, Coppo di Marcovaldo.  
1265
  Prima opera pervenutaci di Cimabue: il Crocifisso della chiesa di S.Domenico ad Arezzo.
1272
Fu chiamato con alcuni domenicani per testimoniare a Roma in una controversia suscitata dall’ordine religioso femminile di s. Damiano in seno ai francescani, che in quell’occasione, appunto, venne assoggettato alla regola di S. Agostino, per eliminare così ogni motivo di scandalo.  
1280

-

1290

Decora la basilica Superiore di Assisi

(l‘opera più colossale ed impegnativa di Cimabue).

 
1285
  Dipinge la Maestà di S. Trinità a Firenze.
1301
Tra quest’anno e il successivo è documentata la sua attività a Pisa.

Muore tra il mese di novembre 1301 e il marzo 1302.

Esecuzione di una Maestà – oggi perduta - per l’ospedale di S. Chiara e dell’ultima opera conosciuta di Cimabue, il grandioso S. Giovanni Evangelista a mosaico nel duomo di Pisa.

 Le novità artistiche

Il soprannome Cimabue allude, probabilmente, all‘orgoglio eccessivo di Cenni di Pepo. Il pittore introduce delle novità fondamentali nell’arte trecentesca: grazie al questo fatto, la sua fierezza è meglio intelligibile. Le figure di Cenni di Pepo sono molto più realistiche di quelle dei suoi predecessori: i volti delle sue figure non sono più delle icone fisse, ma sembrano quasi vivi. Cimabue è, inoltre, il primo pittore italiano che cerca di creare una certa tridimensionalità nei suoi quadri.

Nell’opera di Cimabue si coglie tutto intero il tracciato della transizione della pittura italiana; dalla sua fondazione bizantina e orientale, mediante i contributi dell’oreficeria e della plastica peninsulare e transalpina romanica e proto-gotica, attraverso la riscoperta dell’antico e della classicità ed una maggiore attenzione al dato naturale, fino alla creazione di un linguaggio originale e romanzo, espressione di quella realtà "nazionale" che i comuni toscani, fra i primi nell’Europa occidentale, andavano costituendo economicamente e socialmente.

(Grande Dizionario Enciclopedico UTET, V, p.21-23)

Cimabue – Maestro di Giotto

Cimabue fu elemento essenziale della formazione di Giotto, non solo per il fatto che dallo stile di lui derivò alcuni degli elementi fondamentali del suo linguaggio – la forza del disegno, la viva emergenza plastica e la drammatica tensione delle immagini - ma anche e soprattutto per la coscienza che in quel contatto egli prese di una civiltà con cui si apprestava a porsi in radicale contrasto.

Giotto accoglie il messaggio poetico di Cimabue aggiungendo subito, tuttavia, una propria visione della realtà. Si apre con Giotto un nuovo ciclo. Cimabue è eroica passione che dilata e sconvolge l’umano. Giotto è armonia, misura che domina e contiene le passioni, grandezza dell’umano (Enciclopedia Universale dell’Arte, p.226).