L’arte di Giotto

Carlo Muscetta nel suo libro intitolato Boccaccio scrive:

"L’aneddoto su Giotto e l’illustre giurista messer Forese da Rabatta è interessante perché esalta il grande pittore, non soltanto come uomo di spirito quanto e soprattutto come maestro di realismo. [...] Non si tratta solo di una rivalsa spiritosa: è una riabilitazione, nei confronti della cultura universitaria e giuridica, di un genio che aveva fatto risorgere l’arte classica con la sua pittura. L’aneddoto acquista così un grande valore storico."

(MUSCETTA, 1986, p.248-250)

La figura di Giotto grandeggia all’apertura della nuova età, e i contemporanei, fin dal suo apparire, sentirono che la sua arte significava una rivoluzione radicale nei confronti della vecchia tradizione bizantina, e lo celebrarono come creatore di un sicuro stil nuovo. Dante lo contrappone a Cimabue (Purg. XI, 94-97), Petrarca rileva che la comprensione della sua arte non è cosa da ignoranti, ma da maestri (Testamentum, p.1348-1351), e Boccaccio rincalza che egli dipinge " più che a dilettare gli occhi degli ignoranti a compiacere all’intelletto dei savi" (VI.5). Fino al Ghiberti, al Vasari e ai moderni non s’incontra una sola voce discordante (vedi: INTERTESTUALITÀ > LEGGENDA DI GIOTTO).

Giotto ha dato all’arte una nuova umanità. Rinunzia a sfondi dorati tramite i quali i suoi predecessori avevano cercato di creare un‘aura sovrannaturale e misteriosa; pone, invece, i suoi personaggi in paesaggi naturali davanti a colline, prati e case, familiari allo spettatore dell‘epoca. Posizionando i personaggi soprattutto nella parte di sotto del quadro, non forza più lo spettatore a guardare in alto: figura dipinta e spettatore si stanno di fronte. Questa sottile novità mette in rilievo la convinzione dell‘artista che l‘uomo e la fede cristiana devano confrontarsi su di uno stesso livello di comprensione.

Anche per quanto riguarda la raffigurazione degli individui, l’arte di Giotto contrasta fortemente con quella dei suoi predecessori: nei quadri medievali, il volto umano ci guarda con vuota rigidità; Giotto, invece, pone tristezza, paura, pietà, gioia e tutti gli altri sentimenti umani nell’espressione dei suoi personaggi. Le figure di Giotto sono, insomma, degli esseri in carne ed ossa: dispongono di corporeità e di tridimensionalità attendibile. Le uniche figure dipinte che si avvicinavano al naturalismo di Giotto, erano quelle dell’epoca greca e romana. Ecco perché Giotto fu lodato dai suoi contemporanei come un artista che ha fatto rivivere l’arte classica, dimenticata durante molti secoli.

Non gli bastava, però, ravvivare l’arte antica: per essere veramente viventi, le figure dipinte dovevano essere messe in uno spazio attendibile. Anche se le leggi della perspettiva furono calcolate con precisione matematica soltanto nel Quattrocento, Giotto sentiva intuitivamente come doveva disporre gli elementi nel quadro: servendosi di luce e di oscurità creò l’illusione di uno spazio tridimensionale. Le sue figure, inoltre, non sono più sospese liberamente nello spazio, ma ancorate nel fondo.

Oltre a disporre di una tecnia assolutamente rivoluzionaria, Giotto fu anche un narratore e regista geniale. Eccezionale era soprattutto la sua disposizione per la semplicità: nei suoi dipinti tutto è concentrato sull‘essenziale.

Sarel Eimerl nel suo libro intitolato Giotto und seine Zeit consta:

"Giotto hatte, ganz auf sich allein gestellt, einen fundamentalen Durchbruch in der Kunst bewirkt: Er befreite die Malerei vom blossen Dienst am Symbol und machte sie zu einem Spiegel der Menschheit. [...] Er bereitete den Boden, aus dem alle späteren Maler wuchsen." (EIMERL, 1977, p.9-10).

Della vastissima produzione di Giotto gran parte è andata perduta: distrutti gli affreschi di Rimini, Verona, Ravenna, Bologna, Milano e Napoli, non possiamo che coglierne il riflesso nelle scuole locali sorte al suo passaggio.

Rimangono gli affreschi di Assisi, Padova, Firenze (le cappelle Peruzzi e Bardi), i frammenti romani, oltre a quelli giovanili recentemente riscoperti nella chiesa della Badia di Firenze; e un limitato numero di tavole, la cui datazione e attribuzione è controversa.