Giorgio Vasari nelle sue Vite racconta gli aneddoti famosi di Giotto alla corte di Roberto d’Angiò, re di Napoli.

"[...] Fu chiamato a Napoli dal Re Ruberto, il quale gli fece fare in Santa Chiara, chiesa reale edificata da lui, alcune cappelle, nelle quali molte storie del Vecchio e Nuovo Testamento si veggono. [...] E fu sì da quel re amato, che oltra la pittura pigliò grandissimo piacere del suo ragionamento, avendo egli alcuni motti et alcune risposte molto argute, come fu quando dicendogli un giorno il re che lo voleva fare il prim’uomo di Napoli, "E per ciò", gli rispose Giotto, "son io alloggiato vicino a Porta Reale per esser il primo di Napoli".

Et un’altra volta, dicendogli il re: "Giotto, s’io fusse in te, ora che fa caldo, tralasserei un poco il dipignere", rispose: "Et io, se fussi in voi, farei il medesimo."

[...] Dicesi che gli fu fatto dal re dipignere per capriccio il suo reame, per che Giotto gli dipinse uno asino imbastato, che teneva a’piedi un altro basto nuovo e, fiutandolo, faceva segno di desiderarlo; e su l’uno e l’altro basto era la corona reale e lo scettro della potestà. Domandato dunque Giotto da ’l re, nel presentargli questa pittura, de ’l significato di quella, rispose tali i sudditi suoi essere e tale il suo regno, nel quale ogni giorno nuovo signore desideravano."

(Giorgio Vasari, Le Vite (ed.1550), a c. di Luciano Bellosi e Aldo Rossi, Torino, Einaudi, 1986, p.123)

Giotto lavorò a Napoli per Roberto d’Angiò fra il 1328 e il 1333. Il 20 gennaio 1330 il re lo nominò suo "familiare". Non si sono conservate opere di Giotto del periodo napoletano.

Falaschi osserva che Giotto non è l’unico artista ad avere una relazione stretta con un re. Nell’antichità, Apelle - il più grande dei pittori greci - è stato associato ad Alessandro Magno, e più tardi, Tiziano a Charles V (FALASCHI, 1972, p.24).