Poniamo alla base di questa analisi il saggio intitolato La critica darte nel pensiero medievale di Rosario Assunto.
Assunto mette a confronto due modi di critica darte: il primo fondato sul pensiero medievale e il secondo improntato dal comportamento degli scrittori trecenteschi. Lautore precisa lultimo come
[...] una nuova maniera di concepire le opere, come individuazione dellarte del maestro (che è essa soggetto dellapprezzamento critico) e non più come cose, le quali sono esse stesse, in quanto semplici cose, soggetti di un giudizio che potrebbe pronunziarsi egualmente sulle cose naturali, metalli o pietre non lavorate da mano di artefice."
Il giudizio critico degli scrittori trecenteschi mira al raffronto di due tipi di opere e per conseguenza di due tipi di pubblico. Vediamo, ad esempio, il giudizio critico del Petrarca e del Boccaccio:
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la bellezza di un dipinto si lascia ricono-scere solo dai "magistri artis", gli ignoranti non la intendono | Giotto è superiore rispetto ai pittori dei secoli precedenti perché larte di costoro dilettava gli occhi degli ignoranti , mentre quella di Giotto compiaceva allo "intelletto dei savii". |
Da queste due affermazioni ricaviamo un binomio assai significativo che riassume il confronto di due concezioni dellarte completamente opposte fra di loro. Si tratta dellopposizione tra ignoranti e dotti o magistri artis o savi.
L'ignorante
È nominato ignorante colui che seguita ad apprezzare delle opere darte una bellezza di cose come ad esempio lo splendore della materia come tale o la varietà dei colori. L'ignorante apprezza tutto quello, insomma, per cui una cosa in quanto tale si lascia godere come una festa per gli occhi, sorgente di un piacere sensibile e non più che tanto, senza alcuna partecipazione dellintelletto." (ASSUNTO 1961, p. 297)
Il dotto
La novità dunque consiste in una nuova partecipazione mentale dello spettatore. Il dotto non fruisce più dellopera soltanto attraverso il compiacimento degli occhi, ma vi aggiunge anche limpegno mentale.
L'ingenium
Assunto però introduce un terzo termine importante: lingenium dellartista. Che cosa vuole dire con ingenium? Lingenium è quella capacità dellartista di infondere alle persone e alle cose rappresentate una vitalità pari a quella che esse hanno nel mondo reale". (ASSUNTO 1961, p. 297)
Ed è proprio questa virtù di Giotto che Boccaccio celebra nel cappello della novella VI, 5, §§ 5-6:
[...] Giotto, ebbe uno ingegno di tanta eccellenzia, che niuna cosa dà la natura, madre di tutte le cose [..] che egli [...] non dipignesse sí simile, anzi più tosto dessa paresse, in tanto che molte volte nelle cose da lui fatte si truova che il visivo senso degli uomini vi prese errore, quello credendo esser vero che era dipinto."
La relazione tra dotto, ignorante e ingenium
Al binomio iniziale ignoranti-dotti" viene dunque sovrapposto il termine ingenium. Volendo rappresentare questa relazione in modo grafico si potrebbe ottenere il risultato seguente:
Trasponiamo ora il triangolo delle relazioni tra i tre termini (ingenium/ignoranti/dotti) alla relazione attanziale della novella (Giotto come personalità autorevole sia quale pittore, sia quale bellissimo favellatore"/Forese provocatore/Forese dopo il riscontro). Da questa sovrapposizione possiamo dedurre una cosa importantissima: Forese da provocatore diventa poi colui che comprende la risposta di Giotto, rendendosi conto del suo errore. Forese trasformato rappresenta dunque la novità dellatteggiamento del fruitore rispetto ad unopera darte. Latteggiamento di colui che fruisce di unopera provando un piacere sia sensuale, sia spirituale. Ciò presuppone naturalmente unopera darte capace di suscitare tali attività, unopera come ad esempio quella di Giotto e dei pittori giotteschi (Maso, Stefano, Taddeo), che si distinguono dai maestri che li hanno preceduti proprio per questa novità. Giotto è dunque in grado di associare lars allingenium, connubio che esprime la genialità dell'artista.
Gli effetti dell'ingenium
La critica pittorica della quale si faceva portavoce ad esempio Filippo Villani, per esprimere il primo merito di Giotto, sosteneva che l'artisat avesse cominciato a restituire allarte la similitudo nature". Questo raffronto di ars" e natura" è un concetto già enunciato da san Tommaso in sede teorica, quando scriveva esser proprio della buona immagine quod sit similitudo secundum speciem ... vel ad minus secundum aliquod accidens proprium speciei, et precipue secundum figuram, sicut hominis imago dicitur esse in cupro." Ci troviamo quindi davanti ad una trasposizione di concetti teorici tomistici in termini di critica pittorica. (ASSUNTO 1961, p. 301)
E lo stesso si può dire per lelogio del Boccaccio secondo il quale niuna cosa dà la natura" che Giotto non dipignesse sì simile a quella, che non simile, anzi piuttosto dessa paresse". Ancora una volta troviamo operante il concetto tomistico, della buona similitudine. È buona similitudine quella cui nulla manca di quanto è proprio a ciò di cui essa è similitudine (non deest aliquid imaginis, quod insit illi de quo expressa est" (ASSUNTO 1961, p. 301)
Si arricchisce di un elemento lo schema proposto pochanzi. Aggiungiamo lelemento dellillusione realistica, del topos della deceptio, frutto dellingenium dellartista. Questo topos sarà però trattato in altra sede, dove ne proporremo unanalisi approfondita (vedi: TEMI E TOPOI > DECEPTIO).
Concludiamo con simpatico aneddoto riportato dal Vasari che vede protagonisti Giotto e il suo maestro Cimabue (MILANESI 1906, p. 408):
Dicesi che stando Giotto ancor giovinetto con Cimabue avea fatta, una mosca tanto naturale, che tornando il maestro per seguitare il lavoro, si rimise più d'una volta a cacciarla con mano, pensando che fusse vera, prima che s'accorgesse dell'errore.