Note in verde=note esplicative

Note in rosso=note linguistiche











l’uno punge l‘altro, burlandosi della sua piccola e magra apparenza.

















La preposizione di era anticamente usata "in misura assai maggiore d’oggi per collegare un verbo all’oggetto", (ROHLFS 1969, III, § 712, p. 98).

















in uomini che esercitano mestieri umili, (BRANCA 1992, p. 736, nota 2).

















Cioè in uomini bruttissimi, (BRANCA 1992, p. 736, nota 3).

















sformato.

















schiacciato, rincagnato, (BRANCA 1992, p. 737, nota 1).

















"Cioè con un viso che sarebbe apparso turpe anche rispetto a chi della famiglia dei Baronci l’ebbe più deforme", (BRANCA 1992, p. 737, nota 2).

















sapienza, perizia.

















un archivio di diritto civile.

















"La Natura generatrice e alimentatrice di tutte le cose per mezzo dei movimenti dei cieli, secondo la dottrina aristotelica e scolastica", (SAPEGNO 1975, p. 577, nota 8).

















"stilo, cioè quella verghetta di piombo usata per disegnare prima che si adoperasse il lapis", (BRANCA 1992, p. 737, nota 7).

















quella stessa, proprio quella (da riferirsi a natura).

















si ingannò.

















avendo ridato splendore a quell’arte.

















Il gerundio causale "ad sensum" è usato invece dell’indicativo imperfetto, (BRANCA 1992, p. 738, nota 1).

















Da riferirsi a gloria.

















bramosamente, desiderosamente.

















goduto, usato o occupato senza merito o indegnamente.

















si prendono le vacanze nei tribunali, (BRANCA 1992, p. 738, nota 4).

















da nolo, (BRANCA 1992, p. 738, nota 5).

















vestiario, abbigliamento.

















improvvisa.

















Le due forme piova e pioggia sono usate indifferentemente, (BRANCA 1992, p. 739, nota 1): piova (lat. class. PLUVIA > lat. volg. plovia > ital. antico piova); pioggia presuppone una forma volgare ploia: lat. class. PLUVIA > lat. volg. plovia > lat. volg. *ploia > ital. pioggia, (ROHLFS 1966, I, § 274, p. 386).

















sorprese.

















contadino.

















non dando la pioggia alcun segno, indizio di dover cessare.

















di giorno, prima di notte.

















"Panno grossolano, tessuto con la lana greggia, chiamato così dalla Romagna o da Roma", (BRANCA 1992, p. 739, nota 6).

















inzaccherati, infangati.

















dignità, decoro.

















Concordanza abituale tra aggettivo maschile (disparuto) e ogni cosa considerata un neutro, (BRANCA 1992, p. 739, nota 9). Manzoni, invece, ritiene necessario correggere veggendo ogni cosa in veggendolo in ogni cosa, (AMERIO 1956, p. 411).

"così disorrevole e così disparuto": così disonorevole e così sparuta (i due aggettivi vanno riferiti a ogni cosa).

















senza riflettere sul suo aspetto.

















quando, quando mai.

















Nel toscano, da ILLU è regolarmente derivato il pronome oggettivo atono lo. Accanto a lo l’antico toscano presentava anche un altro sviluppo di ILLU: il che, come lo, era originariamente legato alla posizione preconsonantica, dopo finale vocalica. Tale esito è frequente nel Boccaccio, (ROHLFS 1968, II, § 455, pp. 151,152).

















qualora.

















In questa novella il senso visivo è determinante: il vedere il compagno di viaggio in condizioni non decorose provoca il motteggio di Forese e la pronta risposta di Giotto. Nello scambio dei brevi motti, Forese esprime una rapida e immediata azione visiva (...veduto non t’avesse... (§ 14)). La risposta di Giotto, invece, è di una azione che accenna a un più lungo indugio visivo (...guardando voi...(§ 15)). Il verbo vedere (percepire con gli occhi, discernere con la mente) è momentaneo e perfettivo, il verbo guardare (soffermare lo sguardo su qualcosa o qualcuno) è durativo e imperfettivo. Il rapporto di frequenza tra le forme dei due verbi vedere e guardare è di 7 a 1 (vedere: § 9 (2* ), 10, 12, 13, 14, 16; guardare : § 16). La maggior frequenza di vedere rispetto a guardare si spiega con la preferenza accordata dal Boccaccio all’azione rapida, puntuale, istantanea, che si compie e si esaurisce in un limite temporale ben definito (uso di vedere nel passato remoto o nel trapassato remoto). L’azione di guardare, invece, essendo continuata, si svolge e si diluisce in un tempo non determinato senza essere portata a termine, (CAVALLINI 1975, pp. 8, 10, 11).

















Giotto risponde al tu familiare di Forese con il voi di rispetto, da inferiore: "il pittore è considerato ancora artigiano di fronte al messere, al dotto in leggi", (BRANCA 1992, p. 740, nota 2). "[...] Nel trecento si usava il voi in senso di cortesia, di rispetto, sia da inferiore a superiore, sia tra sconosciuti quando essi avevano un aspetto piuttosto signorile; [...] il tu era riserbato agli amici, alle relazioni di parentela intime, ai servi, ai confidenti, agli amanti nei momenti di intimità e ogni volta che ci si trova in rapporti di superiore a inferiore o di uguaglianza tra bassi ceti, (ZINI 1941, p. 125). Zini, pur non analizzando le funzioni del tu e del voi nella novella VI, 5, presenta diversi significati dei due pronomi allocutori che sembrano poter ben adattarsi ad essa:

tu

elemento di beffa

si dà a tutte persone di condizione inferiore

segno di ironia sottile

voi

segno di venerazione e di rispetto, di stima e di riconoscenza.

















"si vide pagato con la moneta che meritavano le merci (derrate) vendute, cioè si vide ripagato come meritava", (BRANCA 1992, p. 740, nota 3).

"La conclusione della novella è caratterizzata dalla presenza di una forma del verbo vedere (nel significato di accorgersi) perfettamente consona alla brevità che la percorre dall’inizio alla fine", (CAVALLINI 1975, p. 11).

(Sull’importanza di vedere, vedi guardando, § 15).