[1] Paganino da Monaco ruba la moglie a messer Ricciardo di Chinzica; il quale, sappiendo dove ella è, va, e diventa amico di Paganino; raddomandagliele, e egli, dove ella voglia, gliele concede; ella non vuol con lui tornare e, morto messer Ricciardo, moglie di Paganin diviene.
[2] Ciascuno della onesta brigata sommamente commendò per bella la novella dalla loro reina contata, e massimamente Dioneo, al qual solo per la presente giornata restava il novellare. Il quale, dopo molte commendazioni di quella fatte, disse:
[3] Belle donne, una parte della novella della reina mha fatto mutar consiglio di dirne una che allanimo mera, a doverne unaltra dire: e questa è la bestialità di Bernabò, come che bene ne gli avvenisse, e di tutti gli altri che quello si danno a credere che esso di creder mostrava: cioè che essi, andando per lo mondo e con questa e con quella ora una volta ora unaltra sollazzandosi, simmaginan che le donne a casa rimase si tengan le mani a cintola, quasi noi non conosciamo, che tra esse nasciamo e cresciamo e stiamo, di che elle sien vaghe. [4] La qual dicendo, a unora vi mostrerò chente sia la sciocchezza di questi cotali, e quanto ancora sia maggior quella di coloro li quali, sé più che la natura possenti estimando, si credon quello con dimostrazioni favolose potere che essi non possono, e sforzansi daltrui recare a quello che essi sono, non patendolo la natura di chi è tirato.
[5] Fu dunque in Pisa un giudice, più che di corporal forza dotato dingegno, il cui nome fu messer Riccardo di Chinzica; il qual, forse credendosi con quelle medesime opere sodisfare alla moglie che egli faceva agli studii, essendo molto ricco, con non piccola sollecitudine cercò davere e bella e giovane donna per moglie, dove e luno e laltro, se così avesse saputo consigliar sé come altrui faceva, doveva fuggire. [6] E quello gli venne fatto, per ciò che messer Lotto Gualandi per moglie gli diede una sua figliuola, il cui nome era Bartolomea, una delle più belle e delle più vaghe giovani di Pisa, come che poche ve nabbiano che lucertole verminare non paiano. [7] La quale il giudice menata con grandissima festa a casa sua, e fatte le nozze belle e magnifiche, pur per la prima notte incappò una volta per consumare il matrimonio a toccarla e di poco fallò che egli quella una non fece tavola; il quale poi la mattina, sì come colui che era magro e secco e di poco spirito, convenne che con vernaccia e con confetti ristorativi e con altri argomenti nel mondo si ritornasse.
[8] Or questo messer lo giudice, migliore stimatore delle sue forze che stato non era avanti, incominciò a insegnare a costei un calendaro buono da fanciulli che stanno a leggere e forse già stato fatto a Ravenna. [9] Per ciò che, secondo che egli le mostrava, niun dì era che non solamente una festa ma molte non ne fossero, a reverenza delle quali per diverse cagioni mostrava luomo e la donna doversi abstenere da così fatti congiugnimenti, sopra questi aggiugnendo digiuni e quatro tempora e vigilie dapostoli e di mille altri santi e venerdì e sabati e la domenica del Signore e la quaresima tutta, e certi punti della luna e altre eccezion molte, avvisandosi forse che così feria far si convenisse con le donne nel letto, come egli faceva talvolta piatendo alle civili. [10] E questa maniera, non senza grave malinconia della donna, a cui forse una volta ne toccava il mese e appena, lungamente tenne, sempre guardandola bene, non forse alcuno altro le nsegnasse conoscere li dì da lavorare, come egli laveva insegnate le feste.
[11] Avvenne che, essendo il caldo grande, a messer Riccardo venne disidero dandarsi a diportare a un suo luogo molto bello vicino a Monte Nero, e quivi per prendere aere, dimorarsi alcun giorno, e con seco menò la sua bella donna. [12] E quivi standosi, per darle alcuna consolazione fece un giorno pescare, e sopra due barchette, egli in su una co pescatori e ella in su unaltra con altre donne, andarono a vedere; e tirandogli il diletto parecchi miglia quasi senza accorgersene nandarono infra mare. [13] E mentre che essi più attenti stavano a riguardare, subito una galeotta di Paganin da Mare, allora molto famoso corsale, sopravenne e, vedute le barche, si dirizzò a loro; le quali non poteron sì tosto fuggire, che Paganin non giugnesse quella ove eran le donne: nella quale veggendo la bella donna, senza altro volerne, quella, veggente messer Riccardo che già era in terra, sopra la sua galeotta posta andò via. [14] La qual cosa veggendo messer lo giudice, il quale era sì geloso che temeva dellaere stesso, se esso fu dolente non è da dimandare. Egli senza pro, e in Pisa e altrove, si dolfe della malvagità de corsari, senza sapere chi la moglie tolta gli avesse o dove portatala.
[15] A Paganino, veggendola così bella, parve star bene; e non avendo moglie, si pensò di sempre tenersi costei, e lei che forte piagnea, cominciò dolcemente a confortare. [16] E venuta la notte, essendo a lui il calendaro caduto da cintola e ogni festa o feria uscita di mente, la cominciò a confortare co fatti, parendogli che poco fossero il dì giovate le parole; e per sì fatta maniera la racconsolò, che, prima che a Monaco giugnessero, eil giudice e le sue leggi le furono uscite di mente, e cominciò a viver più lietamente del mondo con Paganino. Il quale, a Monaco menatala, oltre alle consolazioni che di dì e di notte le dava, onoratamente come sua moglie la tenea.
[17] Poi a certo tempo pervenuto agli orecchi di messer Riccardo dove la sua donna fosse, con ardentissimo disidero, avvisandosi niuno interamente saper far ciò che a ciò bisognava, esso stesso dispose dandar per lei, disposto a spendere per lo riscatto di lei ogni quantità di denari: e, messosi in mare, se nandò a Monaco e quivi la vide e ella lui, la quale poi la sera a Paganino il disse e lui della sua intenzione informò. [18] La seguente mattina messer Riccardo, veggendo Paganino, con lui saccontò e fece in poca dora una gran dimestichezza e amistà, infignendosi Paganino di conoscerlo e aspettando a che riuscir volesse; per che, quando tempo parve a messer Riccardo, come meglio seppe e il più piacevolmente la cagione per la quale venuto era gli discoperse, pregandolo che quello che gli piacesse prendesse e la donna gli rendesse.
[19] Al quale Paganino con lieto viso rispose: "Messer, voi siate il ben venuto, e rispondendo in brieve vi dico così: egli è vero che io ho una giovane in casa, la qual non so se vostra moglie o daltrui si sia, per ciò che voi io non conosco né lei altressì se non in tanto quanto ella è meco alcun tempo dimorata. [20] Se voi siete suo marito, come voi dite, io, per ciò che piacevol gentil uom mi parete, vi menerò da lei, e son certo che ella vi conoscerà bene. Se essa dice che così sia come voi dite e vogliasene con voi venire, per amor della vostra piacevolezza quello che voi medesimo vorrete per riscatto di lei mi darete; ove così non fosse, voi fareste villania a volerlami torre, per ciò che io son giovane uomo e posso così come un altro tenere una femina, e spezialmente lei che è la più piacevole che io vidi mai".
[21] Disse allora messer Riccardo: "Per certo ella è mia moglie, e se tu mi meni dove ella sia, tu il vederai tosto: ella mi si gitterà incontanente al collo; e per ciò non domando che altramenti sia se non come tu medesimo hai divisato".
[22] "Adunque" disse Paganino "andiamo".
[23] Andatisene adunque nella casa di Paganino e stando in una sua sala, Paganino la fece chiamare; e ella vestita e acconcia uscì duna camera e quivi venne dove messer Riccardo con Paganino era, né altramenti fece motto a messer Riccardo che fatto savrebbe a un altro forestiere che con Paganino in casa sua venuto fosse. Il che vedendo il giudice, che aspettava di dovere essere con grandissima festa ricevuto da lei, si maravigliò forte, e seco stesso cominciò a dire: "Forse che la malinconia e il lungo dolore che io ho avuto poscia che io la perdei mha si trasfigurato che ella non mi riconosce".
[24] Per che egli disse: "Donna, caro mi costa il menarti a pescare, per ciò che simil dolore non si sentì mai a quello che io ho poscia portato che io ti perdei, e tu non pare che mi riconoschi, sì salvaticamente motto mi fai. Non vedi tu che io sono il tuo messer Riccardo, venuto qui per pagare ciò che volesse questo gentile uomo in casa cui noi siamo, per riaverti e per menartene? e egli, la sua mercé, per ciò che io voglio mi ti rende".
[25] La donna rivolta a lui, un cotal pocolin sorridendo, disse: "Messere, dite voi a me? Guardate che voi non mabbiate colta in iscambio, ché, quanto è io, non mi ricordo che io vi vedessi giammai".
[26] Disse messer Riccardo: "Guarda ciò che tu di, guatami bene: se tu ti vorrai bene ricordare, tu vedrai bene che io sono il tuo Riccardo di Chinzica".
[27] La donna disse: "Messere, voi mi perdonerete: forse non è egli così onesta cosa a me, come voi vimaginate, il molto guardarvi, ma io vho nondimeno tanto guardato, che io conosco che io mai più non vi vidi".
[28] Imaginossi messer Riccardo che ella questo facesse per tema di Paganino, di non volere in sua presenza confessar di conoscerlo: per che dopo alquanto chiese di grazia a Paganino che in camera solo con essolei le potesse parlare. [29] Paganin disse che gli piacea, sì veramente che egli non la dovesse contra suo piacere basciare; e alla donna comandò che con lui in camera andasse e udisse ciò che egli volesse dire e come le piacesse gli rispondesse.
[30] Andatisene adunque in camera la donna e messer Riccardo soli, come a sedere si furon posti, incominciò messer Riccardo a dire: "Deh, cuore del corpo mio, anima mia dolce, speranza mia, or non riconosci tu Riccardo tuo che tama più che se medesimo? come può questo esser? son io così trasfigurato? deh, occhio mio bello, guatami pure un poco".
[31] La donna incominciò a ridere e senza lasciarlo dir più disse: "Ben sapete che io non sono sì smimorata, che io non conosca che voi siete messer Riccardo di Chinzica mio marito; ma voi, mentre che io fu con voi, mostraste assai male di conoscer me, per ciò che se voi eravate savio o sete, come volete esser tenuto, dovavate bene avere tanto conoscimento, che voi dovavate vedere che io era giovane e fresca e gagliarda, e per conseguente cognoscere quello che alle giovani donne, oltre al vestire e al mangiar, benché elle per vergogna nol dicano, si richiede: il che come voi il faciavate, voi il vi sapete. [32] E se egli vera più a grado lo studio delle leggi che la moglie, voi non dovavate pigliarla; benché a me non parve mai che voi giudice foste, anzi mi paravate un banditor di sagre e di feste, sì ben le sapavate, e le digiune e le vigilie. E dicovi che se voi aveste tante feste fatte fare a lavoratori che le vostre possession lavorano, quante faciavate fare a colui che il mio piccol campicello aveva a lavorare, voi non avreste mai ricolto granel di grano. [33] Sommi abbattuta a costui che ha voluto Idio sì come pietoso raguardatore della mia giovanezza, col quale io mi sto in questa camera, nella qual non si sa che cosa festa sia, dico di quelle feste che voi, più divoto a Dio che a servigi delle donne, cotante celebravate; né mai dentro a quello uscio entrò né sabato né venerdì né vigilia né quatro tempora né quaresima, chè così lunga, anzi di dì e di notte ci si lavora e battecisi la lana; e poi che questa notte sonò mattutino, so bene come il fatto andò da una volta in su. [34] E però con lui intendo di starmi e di lavorare mentre sarò giovane, e le feste e le perdonanze e digiuni serbarmi a far quando sarò vecchia; e voi colla buona ventura sì ve nandate il più tosto che voi potete, e senza me fate feste quante vi piace".
[35] Messer Riccardo, udendo queste parole, sosteneva dolore incomportabile, e disse, poi che lei tacer vide: "Deh, anima mia dolce, che parole son quelle che tu di? or non hai tu riguardo allonore de parenti tuoi e al tuo? vuoi tu innanzi star qui per bagascia di costui e in peccato mortale, che a Pisa mia moglie? Costui, quando tu gli sarai rincresciuta, con gran vitupero di te medesima ti caccerà via: io tavrò sempre cara e sempre, ancora che io non volessi, sarai donna della casa mia. [36] Dei tu per questo appetito disordinato e disonesto lasciar lonor tuo e me, che tamo più che la vita mia? Deh, speranza mia cara, non dir più così, voglitene venir con meco: io da quinci innanzi, poscia che io conosco il tuo disidero, mi sforzerò; e però, ben mio dolce, muta consiglio e vientene meco, ché mai ben non sentii poscia che tu tolta mi fosti".
[37] A cui la donna rispose: "Del mio onore non intendo io che persona, ora che non si può, sia più di me tenera: fosserne stati i parenti miei quando mi diedero a voi! Li quali se non furono allora del mio, io non intendo dessere al presente del loro; e se io ora sto in peccato mortaio, io starò quando che sia in imbeccato pestello: non ne siate più tenero di me. [38] E dicovi così, che qui mi pare esser moglie di Paganino e a Pisa mi pareva esser vostra bagascia, pensando che per punti di luna e per isquadri di geometria si convenieno tra voi e me congiugnere i pianeti, dove qui Paganino tutta la notte mi tiene in braccio e strignemi e mordemi, e come egli mi conci Dio vel dica per me. [39] Anche dite voi che vi sforzerete: e di che? di farla in tre pace e rizzare a mazzata? Io so che voi siete divenuto un pro cavaliere poscia che io non vi vidi! Andate, e sforzatevi di vivere, ché mi pare anzi che no che voi ci stiate a pigione, sì tisicuzzo e tristanzuol mi parete. [40] E ancor vi dico più: che quando costui mi lascerà, ché non mi pare a ciò disposto, dove io voglia stare, io non intendo per ciò di mai tornare a voi, di cui, tutto premendovi, non si farebbe uno scodellino di salsa, per ciò che con mio grandissimo danno e interesse vi stetti una volta: per che in altra parte cercherei mia civanza. [41] Di che da capo vi dico che qui non ha festa né vigilia, laonde io intendo di starmi; e per ciò, come più tosto potete, vandate con Dio, se non che io griderò che voi mi vogliate sforzare".
[42] Messer Riccardo, veggendosi a mal partito e pure allora conoscendo la sua follia daver moglie giovane tolta essendo spossato, dolente e tristo suscì della camera e disse parole assai a Paganino le quali non montavano un frullo. E ultimamente, senza alcuna cosa aver fatta, lasciata la donna, a Pisa si ritornò; e in tanta mattezza per dolor cadde che, andando per Pisa, a chiunque il salutava o dalcuna cosa il domandava, niuna altra cosa rispondeva, se non: "Il mal furo non vuol festa"; e dopo non molto tempo si morì.
[43] Il che Paganin sentendo e conoscendo lamore che la donna gli portava, per sua legittima moglie la sposò, e senza mai guardar festa o vigilia o far quaresima, quanto le gambe ne gli poteron portare lavorarono e buon tempo si diedono. Per la qual cosa, donne mie care, mi pare che ser Bernabò disputando con Ambruogiuolo cavalcasse la capra in verso il chino.
Conclusione
[1] Questa novella diè tanto che ridere a tutta la compagnia, che niuna ve nera a cui non dolessero le mascelle: e di pari consentimento tutte le donne dissono che Dioneo diceva vero e che Bernabò era stato una bestia. [2] Ma poi che la novella fu finita e le risa ristate, avendo la reina riguardato che lora era omai tarda e che tutti avean novellato e la fine della sua signoria era venuta, secondo il cominciato ordine, trattasi la ghirlanda di capo, sopra la testa la pose di Neifile con lieto viso dicendo: "Omai, cara compagna, di questo piccol popolo il governo sia tuo": e a seder si ripose.
[3] Neifile del ricevuto onore un poco arrossò, e tal nel viso divenne qual fresca rosa daprile o di maggio in su lo schiarir del giorno si mostra, con gli occhi vaghi e sintillanti non altramenti che matutina stella, un poco bassi. Ma poi che lonesto romor de circunstanti, nel quale il favor loro verso la reina lietamente mostravano, si fu riposato e ella ebbe ripreso lanimo, alquanto più alta che usata non era sedendo, disse: [4] Poi che così è che io vostra reina sono, non dilungandomi dalla maniera tenuta per quelle che davanti a me sono state, il cui reggimento voi ubidendo commendato avete, il parer mio in poche parole vi farò manifesto, il quale se dal vostro consiglio sarà commendato, quel seguiremo. [5] Come voi sapete, domane è venerdì e il seguente dì sabato, giorni, per le vivande le quali susano in quegli, alquanto tediosi alle più genti; senza che il venerdì, avendo riguardo che in esso Colui che per la nostra vita morì sostenne passione, è degno di reverenza, per che giusta cosa e molto onesta reputerei che, a onor di Dio, più tosto a orazioni che a novelle vacassimo. [6] E il sabato appresso usanza è delle donne di lavarsi la testa, di tor via ogni polvere, ogni sucidume che per la fatica di tutta la passata settimana sopravenuta fosse; e soglion similmente assai, a reverenza della Vergine madre del Figliuol di Dio, digiunare, e da indi in avanti per onor della sopravegnente domenica da ciascuna opera riposarsi: per che, non potendo così a pieno in quel dì lordine da noi preso nel vivere seguitare, similmente stimo sia ben fatto quel dì delle novelle ci posiamo. [7] Appresso, per ciò che noi qui quatro dì dimorate saremo, se noi vogliam tor via che gente nuova non ci sopravenga, reputo oportuno di mutarci di qui e andarne altrove; e il dove io ho già pensato e proveduto. [8] Quivi quando noi saremo domenica appresso dormire adunati, avendo noi oggi avuto assai largo spazio da discorrere ragionando, sì perché più tempo da pensare avrete e sì perché sarà ancora più bello che un poco si ristringa del novellare la licenzia e che sopra uno de molti fatti della Fortuna si dica, e ho pensato che questo sarà: [9] di chi alcuna cosa molto disiderata con industria acquistasse o la perduta recuperasse. Sopra che ciascun pensi di dire alcuna cosa che alla brigata esser possa utile o almeno dilettevole, salvo sempre il privilegio di Dioneo.
[10] Ciascuno commendò il parlare e il diviso della reina, e così statuiron che fosse. La quale, appresso questo, fattosi chiamare il suo siniscalco, dove metter dovesse la sera le tavole e quello appresso che far dovesse in tutto il tempo della sua signoria pienamente gli divisò: e così fatto, in pié dirizzata con la sua brigata, a far quello che più piacesse a ciascuno gli licenziò.
[11] Presero adunque le donne e gli uomini inverso un giardinetto la via e quivi, poi che alquanto diportati si furono, lora della cena venuta, con festa e con piacer cenarono; e da quella levati, come alla reina piacque, menando Emilia la carola, la seguente canzone da Pampinea, rispondendo laltre, fu cantata:
[12] Qual donna canterà, sio non canto io,
che son contenta dogni mio disio?
[13] Vien dunque, Amor, cagion dogni mio bene,
dogni speranza e dogni lieto effetto;
cantiamo insieme un poco,
non de sospir né delle amare pene
chor più dolce mi fanno il tuo diletto,
ma sol del chiaro foco,
nel quale ardendo in festa vivo e n gioco,
te adorando come un mio idio.
[14] Tu mi ponesti innanzi agli occhi, Amore,
il primo dì chio nel tuo foco entrai,
un giovinetto tale,
che di biltà, dardir né di valore
non se ne troverebbe un maggior mai,
né pure a lui equale:
di lui maccesi tanto, che aguale
lieta ne canto teco, signor mio.
[15] E quel che n questo mè sommo piacere,
è chio gli piaccio quanto egli a me piace,
Amor, la tua merzede;
per che in questo mondo il mio volere
posseggo, e spero nellaltro aver pace
per quella intera fede
che io gli porto. Idio, che questo vede,
del regno suo ancor ne sarà pio.
[16] Appresso questa, più altre se ne cantarono e più danze si fecero e sonarono diversi suoni; ma estimando la reina tempo esser di doversi andare a posare, co torchi avanti ciascuno alla sua camera se nandò. E li due dì seguenti a quelle cose vacando che prima la reina aveva ragionate, con disiderio aspettarono la domenica.
Finisce la seconda giornata del Decameron