Intorno al 1341 BOCCACCIO compose (con il titolo originario) il Ninfale d‘Ameto, Ameto, oppure noto come la Comedia delle Ninfe fiorentine, un romanzo pastorale misto di versi e di prosa sulla schema della Vita nuova dantesca e del De consolatione Philosophiae di BOEZIO, nel qule narrò l‘educazione sentimentale del pastore Ameto attraverso l‘amore per la ninfa Lia. Il FORNI giustifica così la scelta della materia pastoral-mitologica all‘interno di una strategia allegorica che permette il compiacimento decorativo con semplicità freschissima.

[…]"Il BOCCACCIO vuole che le donne della Comedia siano ninfe, gli torna comodo anche per un gioco di galante enigmistica, per velarne-svelarne l‘identità; sceglie, insomma, uno scenario e dei costumi convenienti per illustratre il processo educativo di Ameto."[…] (Pier Massimo Forni, Ninfale Fiesolano, Mursia-Gum, Milano 1991)

Nel ‘500 (per battage editoriale ) la Comedia fu addirittura presentata come il piccolo Decameron, e in realtà la sua architettura, da un lato richiama il libro IV del Filocolo, dall‘altro prelude all‘opera maggiore, il Decameron.

[…]"Anche in questo romanzo, che mescola crudi toni sensuali e allegorie di misticismo amoroso, egli introdusse, lo schema, che evidentemente gli ossessionava la fanatsia, di una lieta adunata di ninfe novellanti sotto il reggimento, qui, di Lia."[…] (Giuseppe Petronio, L‘attività letteraria in italia, Palumbo, Palermo 1989)

La Comedia delle Ninfe contiene appunto sette racconti in una cornice che, secondo l‘edizione cirtica del QUAGLIO, sono ora ordinati in 50 capitoli di prose e terzine. Nei manoscritti però il prosimetro non ha numerazione, e le due prose che fanno da prologo e da epilogo sono strettamente legate al discorso dell‘autore, senza quegli stacchi retorici che nelle altre opere acquistano un risalto particolare.

 

Nel giorno della festa di Venere (XVII), finalmente il giovane Ameto rincontra Lia, insieme ad altri pastori ed altre ninfe, che il BOCCACCIO "particolarmente" ammira e analizza con l‘occhio affascinato di Ameto. Le ninfe si ritraggono presso Ameto, che canta tutta la sua riconoscenza a Lia e la sua disposizione a perfezionare la sua condizione spirituale, dopo che era "istato rozzo infino allora e matto". Lei allora propone che durante la "calda luce", al pomeriggio, le ninfe raccontino i loro amori, "narranti" e "dicendo" in prosa e in verso (XVII).

All‘ombra di un alloro si dispongono in cerchio attorno ad Ameto che, eletto "antiste" (cioè capo) del "grazioso coro", fisserà l‘ordine di "narrazione". Si succedono così Mopsa, "non come la più savia, ma come la più antica, acciò che le più giovani lascino ogni vergogna" (XVII-XIX), Emilia (XXI, XXII, XXIII, XXIV), Adiona (XXVI, XXVII), Acrimonia (XXIX, XXX), Agapes (XXXII, XXXIII), Fiammetta (XXXV, XXXVI). E Ameto, tacitamente, con pensieri, preghiere, immaginazioni e soliloqui esprime di volta in volta il suo "fervente disio" di identificarsi con gli amanti di ciascuna ninfa, l‘Afron di Mopsa (XX), l‘Ibrida di Emilia (XXV), il Dioneo di Adiona (XXXVIII), l‘Apaten di Acrimonia (XXXI), l‘Apiros di Agapes (XXXIV), il Calèon di Fiammetta (XXXVII).

 

A tale punto conviene notare che al cap. XXXII notevoli sono, a proposito di Agapes (che simboleggia la Carità "di vermiglio vestita"), i sospiri elegiaci per al sua povera e inutile bellezza, sprecata con un vecchio che la sorte gli procurato: "[] Ma il racconto di Agapes c‘interessa per la varietà che presenta rispetto agli altri, cioè per la descrizione satirica del marito e dei suoi impotenti conati amorosi (XXXII) [] " (Carlo Muscetta, Boccaccio, Letteratura italiana, Laterza, Roma-Bari, 1972),

 

Rivolgendosi a Venere la protagonista Agapes inveirà:

 

"O peitosa Venere, santa dèa, i cui altari io

volentrosa visito, presta le misericordiose orecchi a‘

prieghi miei. Io, giovane come tu vedi, formosa e di vecchio

marito male consolata, dubito che i miei anni oziosi non

passino sanza conforto alla fredda vecchiezza. E però, se la

mia bellezza merita che io mi dica de‘ tuoi subietti, entra

nel petto mio, ché ti desidero; e i tuoi ardori, li quali

molte volte ho sanza fine uditi lodare, mi fa sentire per

giovane tale che non sia indegno alla mia bellezza e per cui

le male avute notti con diletto si possano ristorare." (XXXII,6)

 

Anticipando così in modo inequivocabile la materia della novella II,10.

 

 

 

 

Antonio Enzo Quaglio, Comedia dele Ninfe Fiorentine (Ameto), Sansoni Editore, Frienze 1962

Carlo Muscetta, Boccaccio, Letteratura italiana, Laterza, Roma-Bari, 1972

Giuseppe Petronio, L‘attività letteraria in italia, Palumbo, Palermo 1989

Pier Massimo Forni, Ninfale Fiesolano, Mursia-Gum, Milano 1991