Bartolomea viene subito descritta come:
"una delle più belle e vaghe giovani di Pisa" (II,10,§6)
attributi che nel nostro caso descrivono perfettamente la figura della "malmaritata", di cui essa è protagonista ; e inoltre il narratore precisa il fatto che ella fosse una tra le poche donne a non sembrare una "tarantola", cioè brutta. Secondo SAPEGNO "la bruttezza delle donne pisane era proverbiale tra i fiorentini [...]."
Nel suo ruolo di malmaritata dunque fa sì che essa sia passiva all'inizio della novella, cioé non capace di liberarsi dal suo stato d'insoddisfazione. È solo dopo il rapimento che ella si avvia verso una personale rivendicazione della propria femminilità, si consola subito della perdita del marito e senza batter ciglio acconsente di essere consolata dal giovane, vigoroso corsaro, senza calendari nella cintola.
Quando il giudice rientra in scena con la ferma volontà di riportare sua moglie a casa, lei con indifferenza e quasi degna freddezza di eroina finge di non aver mai visto l'uomo che le stava di fronte.
"La donna rivolta a lui, con cotal pocolin sorridendo, disse : "Messere dite voi a me ? guardate che voi non mi abbiate colta in iscambio, ché; quanto è io; non mi ricordo che io vi vedessi giammai" (II, 10, §25)
La sua vera e propria rivendicazione come donna si ha nell'oratoria; dove con un tono auto-liberatorio, difende appassionatamente quel diritto di auto-determinazione, che il caso, grazie all'incontro con Paganino, le ha concesso.
Dopo la fredda ironia iniziale dell'oratoria, Bartolomea si riappropria anche di una identità verbale, difendendo le proprie scelte vitali, e sbeffeggiando la rigida compostezza del marito.
Ormai affermatasi come donna, è pronta a vivere la sua vita con Paganino, realizzando così anche un po' il suo sogno d'amore.