Maria Bendinelli Predelli

 

LETTURA IN FILIGRANA DELLA NOVELLA DI ZINEVRA (DECAMERON II.9)

 

 

Nell'ormai classica edizione delle opere del Boccaccio a cura di V. Branca, la nota iniziale alla novella del Decameron II.9 informa che "gli antecedenti, i paralleli, la fortuna di questa novella sono stati indagati con speciale accanimento data la ripresa illustre nel Cymbeline di Shakespeare"; e fra questi antecedenti e paralleli sono menzionati i poemi romanzeschi Le compte de Poitiers e il Roman de la Violette, il racconto in prosa Dou roi Flore et de la bielle Jehane, il "miracolo" (più precisamente, una specie di sacra rappresentazione) Oton roi d'Espagne, il Cantare di Madonna Elena, e finalmente "un racconto forse trecentesco", come gli antecedenti che il Branca considera più vicini alla cultura del Boccaccio. Ma, pagato questo tributo alle erudite ricerche sulle fonti della novella(1)il Branca indica come più probabile background della novella lo sfuggente dominio delle comunicazioni orali:"Si ha l'impressione che la novella del B. riecheggi sopprattutto racconti di mercanti italiani provenienti di Francia", insistendo anzi: "È inutile ricordare quanti e quali rapporti abbia avuto il B. cogli ambienti mercantili italiani di Parigi". Forse sulla base di questo giudizio Alberto Asor Rosa, nella pur interessante disamina delle strutture del Decameron, apparsa nel volume dedicato a Le Opere della Letteratura Italiana Einaudi, include la novella di Zinevra fra quelle per le quali "non è possibile indicare in nessun modo un possibile aggancio con le tradizioni narrative precedenti"(2).

A me pare che sia possibile, in realtà, riprendere in mano la questione e

 

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individuare con un certo grado di plausibilità molti dei materiali narrativi di cui il Boccaccio si è servito nella "confezione" della novella. L'interesse dell'operazione non risiede tanto nella soddisfazione erudita di indicare le "fonti" del Boccaccio quanto, piuttosto, nella possibilità di renderci meglio conto di "come lavorava" la fantasia del Boccaccio e, ancor più, della sua straordinaria capacità di utilizzare il materiale letterario preesistente rifondendolo in un organismo inconfondibilmente suo.

 

Prima di affrontare la questione, bisognerà sgombrare il campo da un ostacolo apparente, rappresentato dall'affermazione che fra gli antecedenti del Boccaccio vada annoverata la novella italiana trecentesca pubblicata prima dal Lami, poi dallo Zambrini e riprodotta nello studio dell'Almansi(3). Infatti, la novella anonima presenta una somiglianza così precisa, e sostenuta lungo tutto il racconto, con la novella della Zinevra che se dovesse esser riconosciuta come più antica di quest'ultima, non di un semplice antecedente si tratterebbe ma delLA fonte del Boccaccio nell'accezione più rigorosa e ristretta. L'ipotesi più plausibile è invece quella contraria, che cioè la novella anonima dipenda servilmente dalla creazione boccacciana. R. Ohle sostenne l'anteriorità della novella anonima perché: 1) la situazione iniziale è ambientata nel corso di una "festa", come nelle versioni romanzesche francesi (Poitiers, Violette); 2) il marito comunica alla moglie la ragione della sua intenzione omicida e le prove che il Cherico aveva portato per convincerlo dell'adulterio: questo rende meglio comprensibile che nella novella del Boccaccio l'improvvisa intuizione della donna che, vedendo i suoi oggetti personali esposti al mercato d'Acri, capisce di quale inganno era stata vittima. A questi argomenti si può rispondere che: 1) l'ambientazione nel corso di una festa, appena menzionata di sfuggita sia nella novella sia nei poemi francesi, non è una prova solida; 2) la versione della novella anonima può benissimo rappresentare una razionalizzazione da rifacitore, proprio per rendere meglio comprensibile lo svolgimento delle vicende quali si trovano nel racconto modello (4). Vero è, piuttosto, che nella situazione iniziale la progressione nello sviluppo della discussione che conduce alla scommessa, propria al Boccaccio, viene ridotta a una scarna e schematica contrapposizione fra due avversari, e che questo tratto è più vicino, in effetti, alla versione francese e al Cantare di Madonna Elena che alla versione boccacciana. Ma appunto, nel corso dei Trecento, circolavano in Italia almeno due versioni della novella: quella del Boccaccio e quella riflessa nel

 

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Cantare di Madonna Elena, e non è sorprendente che per qualche tratto il narratore anonimo abbia orecchiato anche la storia diffusa dal cantare. Si vorrebbe attirare l'attenzione, piuttosto, sul fatto che i tratti distintivi della novella anonima (per esempio, le chiacchiere del giovane da Genova all'inizio del racconto, gli indugi nelle trattative con la femmina "che faceva servigio alle donne", la tempestosa comunicazione alla moglie delle prove dell'avversario, la cattura dei cristiani alla corte del Gran Cane, ecc.) non hanno nessun riscontro in versioni della novella della scommessa sicuramente antecedenti alla novella del Boccaccio (5). Sono però perfettamente comprensibili o come adozione di motivi estremamente diffusi nella narrativa di larga comunicazione, come i cantari(6), o come sviluppi di tratti distintivi della coppia Boccaccio novella anonima (per esempio: la posta consistente in una somma di denaro, la progressione nella rivelazione delle prove dell'adulterio, lo stratagemma della cassa). In particolare, vorrei segnalare la caratterizzazione delle doti della donna: nel Boccaccio, le lodi del marito all'inizio del racconto includono qualità diverse da quelle della tradizione (bellezza e fedeltà):

 

niuno scudiero, o famigliare che dir vogliamo, diceva trovarsi il quale meglio né più accortamente servisse ad una tavola d'un signore, che serviva ella [...] Appresso questo, la commendò meglio [ ... ] leggere e scrivere e fare una ragione che se un mercatante fosse.

 

Nella novella anonima, le lodi all'inizio, del racconto tornano ad essere quelle tradizionali ed espresse in forma generica ("aveva la più savia donna di moglie, e la più bella, e la più onesta, che sia in Genova"); ma quando la donna si presenta al padrone della nave, e questo (con una mossa da racconto popolare tipico) le chiede "Che sai tu fare?", la risposta suona: "Messere, io sono buono Ragioniere, e buono Scrittore, e ben so servire a tavola". Un'affermazione che rivela un contatto diretto con la novella della Zinevra.

 

So bene, tuttavia, che i tentativi di stabilire la direzione della relazione fra due racconti sono sempre estremamente aleatori, soprattutto se confinati al raffronto fra due soli testi. Le ragioni per cui mi sembra insostenibile la derivazione della novella della Zinevra dalla novella anonima appariranno più

 

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convincenti, spero, alla fine di tutto il percorso che mi accingo a compiere, trascorrendo fra la novella dei Boccaccio e le altre versioni medievali del ciclo della scommessa.

 

Partiamo dunque da una ricognizione delle narrazioni appartenenti al "ciclo della scommessa", di cui anche la novella della Zinevra fa parte. E bisognerà aprire una parentesi per offrire una panoramica delle versioni del ciclo anteriori o contemporanee al Boccaccio, e per capire in quale zona del quadro si colloca la novella di Zinevra (7). Dal punto di vista della struttura narrativa, i racconti del ciclo della scommessa si possono suddividere in due grandi categorie; nell'una, la convinzione dell'adulterio della donna ha come conseguenza una punizione immediata e irreversibile (la pena di morte). Il che comporta che anche la dimostrazione dell'innocenza della donna avvenga in maniera subitanea, ad evitare - in extremis - l'avverarsi di quella punizione; l'episodio della dimostrazione di innocenza si colloca subito dopo quello della convinzione e il racconto si conclude immediatamente, e naturalmente, dopo questa dimostrazione. Nella seconda categoria, conseguenza della convinzione è non la morte ma la perdita dei beni. Ciò permette al narratore di seguire a lungo le peripezie dei personaggi dopo lo scambio dei beni, la conclusione si allontana, spesso il racconto raggiunge la soluzione a tappe (per esempio: riconoscimento dell'innocenza, ritrovamento della moglie, convinzione del colpevole). Ciascuna di queste grandi categorie si suddivide, poi, in due gruppi: nelle versioni "a conclusione immediata", la punizione può essere comminata alla moglie, o al marito; in quelle "a conclusione differita", la continuazione può essere centrata sulle peripezie della moglie, o su quelle del marito. Ora, i racconti in cui la convinzione d'adulterio comporta la punizione della moglie sono tutti ambientati, per così dire, "in famiglia": i personaggi sono il marito, la moglie, l'altro e il parentado che, alla fine del racconto, deve fare da testimone e da giudice della convinzione d`adulterio e della dimostrazione di innocenza. Questo gruppo è rappresentato dalla ballatta scozzese Tbe Twa Knights(8),da un miracolo trasmesso dal ms. 468 di Tours(9), e dal poemetto tedesco Von Zwein Koufmannen, di un Ruprecht von Würzburg (attribuibile agli anni a cavallo tra la fine del XII e gli inizi dei XIv secolo) (10). Nel secondo gruppo

 

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della prima categoria, lo strano motivo per cui conseguenza dell'adulterio della donna sarà la punizione dell'uomo (marito o fratello) trova ragione nell'ambientazione del racconto: il vanto dell'uomo ha infatti luogo davanti a un re che appare direttamente interessato alla verifica del vanto. Nella Storia di Taliesin (11) il marito contrappone la propria moglie a quella del re, e il suo vanto si configura quindi come una specie di delitto di lesa maestà; nel canto greco di "Maurianòs" (12)è il re stesso che fa la scommessa con il fratello di Aretù; nel Guillaume de Dôle (13)l'imperatore doveva prendere in moglie la donna; si capisce dunque che la conseguenza della "falsificazione" del vanto si ripercuota in maniera drammatica su chi aveva osato proporlo davanti a un'autorità dispotica (14). A questo gruppo andrà attribuito anche il cantare italiano del Madonna Elena, in cui la punizione originariamente minacciata da un re dispotico è divenuta l'assurda posta in gioco dei due scommettitori, garantita dall'autorità dell'imperatore (15).

 

Fra le versioni che prevedono la perdita dei beni, e quindi la continuazione del racconto, i poemetti francesi Compte de Poitiers (16) e Roman de la Violette (17), inserendosi nella tradizione dei romanzi cortesi di esaltazione delle imprese di un cavaliere, pongono l'accento sugli exploits del marito: È lui che, travestito, sorprende la confessione del colpevole, che compie imprese cavalleresche, che ritrova la moglie, e che infine confonde il colpevole in duello. La moglie (18)è rimasta tutto il tempo in disparte, nel castello di un signore che l'ha raccolta per pietà, finché non viene ritrovata dal marito, già informato della sua innocenza. In due racconti in prosa, invece, Le roi Flore et la belle Jehane (19), e un altro miracolo del ms. 468 di Tours, il narratore sposta l'attenzione

 

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sulle azioni della donna, anche se le versioni sono fortemente divaricate: la belle Jehane si traveste da scudiero, raggiunge il marito che è partito disperato, lo sovviene dei suoi beni e dei suoi servizi per sette anni e finalmente induce il marito a sfidare il colpevole, provando con la vittoria nel duello la mendacia del seduttore. Nel miracolo di Tours, la donna si traveste da monaco e l'abate del convento lo prende in tanta stima che lo invia al re della regione come elemosiniere; qui la donna ritrova il marito, fra i poveri, i due si riconciliano, e la donna proverà poi la sua innocenza davanti al re (20).

 

Questa rapida ricognizione permette di affermare che, nella costellazione delle versioni del ciclo della scommessa, la novella della Zinevra si colloca senz'alcun dubbio nell'ultimo dei gruppi descritti: i due avversari scommettono delle ricchezze, il racconto prosegue a lungo dopo la convinzione d'adulterio, e la continuazione centra l'attenzione sulle avventure della donna. Se, tuttavia, ci rivolgiamo agli altri racconti due-trecenteschi dello stesso gruppo per cercare concordanze più precise con la novella del Boccaccio, attingiamo magri risultati. Gli unici punti di contatto rilevabili consistono a) nel travestimento della donna in vesti maschili; b) nella progressione secondo la quale la donna si pone al servizio di un'autorità e da questa passa al servizio di un'autorità più alta: come avviene nel miracolo di Tours e nel miracolo di Oton roi d'Espagne (21). È un po' poco per ricostruire la fisionomia di una versione che avrebbe fatto da fonte al Boccaccio. Oltrettutto, le versioni francesi dell'ultimo gruppo conservano alla vicenda un'ambientazione feudale, mentre già G. Paris, seguito da V. Branca, sottolineava come caratteristica della novella del Decameron la sua ambientazione borghese-mercantile:

 

Les personnages du récit, rois, grands seigneurs ou chevaliers dans toutes les autres versions anciennes, sont devenus ici des simples marchands de Gênes et de Fiorence (22).

 

Ora, questo non è esatto. Una delle versioni del ciclo, sicuramente anteriore al Boccaccio, è addirittura intitolata Dei due mercanti, e la sostanza borghese dei protagonisti entra chiaramente a far parte del racconto. Si tratta del poemetto tedesco Von Zwein Koufmannen, il quale mostra del resto per

 

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chiarire segni d'essere il rifacimento di un racconto francese, forse di tipo favolellistico (23), per cui non è affatto impossibile che il Boccaccio abbia conosciuto la versione francese fonte del poemetto tedesco. La possibilità si trasforma in probabilità quando si osserva che fra tutte le versioni antiche del ciclo il poemetto di Ruprecht von Würzburg è il solo a presentare una reale concordanza di contenuto con la novella del Boccaccio. In entrambi i racconti infatti il punto culminante della scommessa è preparato attentamente da una scena in cui un gruppo di mercanti, convenuti in una città francese, "avendo [...] lietamente cenato", si mettono a parlare delle loro donne, e vengono riferite le opinioni di un primo, di un secondo, di un terzo mercante, prima che il giovane "ingenuo" si metta a lodare la propria moglie. La citazione del testo tedesco permetterà di verificare la sostanziale concordanza di situazione con la novella del Boccaccio:

 

Dô diz allez wart getân, Quando tutto questo fu sistemato,

man biez den gast ze tische gân si chiede all'oste di passare a tavola

In ein kem(e) nâten wît, in una vasta sala

diu was al umb in aller sît' ov'erano seduti tutti attorno

320 Gesezzet vol rîcher kouf man. molti ricchi mercanti.

dô das ezzen wart getân, Alla fine del pranzo,

Der wirt die geste biez gedagen, l'oste ha chiesto agli ospiti di restare,

und bar ir ieglichîen sagen e di dire ciascuno qualcosa

Von sînem wîb ein maere, della propria moglie:

325 wie sie gemuot waere che cosa pensava,

Und wie sie lebet' in ir hûs. come viveva nella casa.

der êrste sprach: "sô sûsâ,sûs! Il primo disse: "Così così!

Diu min ist ein unsaelig lîp, la mia è un cattivo soggetto,

sie ist ein tiuvel und niht ein wîp; è un diavolo e non una moglie;

330 Und saezen ûf der swellen mân e se fossero seduti sulla mia soglia

alle [die tiuvel]l, die in der helle sin, tutti quelli che sono nell'inferno,

ir getröste keiner zuo ir komem." Nessuno avrebbe il coraggio di entrare."

der ander sprach:"wir hân vernomenUn altro dice: "Abbiamo capito

Vil wol, daz dû uns kündest; benissimo quello che ci hai raccontato;

335 ich waen`, daz dû dich sündest io credo che tu non ti comporti bene

An dîner hûs vrouwen guot: con tua moglie:

diu mîn(e) mir niht alsô tuot, la mia non fa così con me:

Sie ist vrôlîch unde vrum, È lieta e affettuosa,

ze hant sô ich von ir kum', è presente quando ho bisogno di lei,

340 [über] ir ebenkristen erbarmet sie sich, come una buona cristiana si occupa

daz dem suezen Got ist loberîch: dei suoi vicini per amor di Dio:

 

 

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Des ziuch ich zwei gouchelin." ci scommetto due bastardelli".

der dritte sprach:"daz mak wol sîn, Il terzo dice: "Può essere;

Diu mîn'ist bezzer, denne guot, la mia è meglio che buona,

345 sie hât ouch einen staeten muot; ha anche un grande coraggio;

Dâ bî sô kan sie einen list, ha poi una certa qualità

der obe disen beiden ist, che è meglio di queste due:

Vil dikke sie getrinket, È capace di bere tanto

daz ir diu zunge hinket; finché la lingua le 'zoppica'.

350 Alsus mîn wîp besorgen kan E soprattutto mia moglie

min hûs und allez das ich hân. è capace di gestire la mia casa e tutto il resto".

Der wehsel maer' sie vil getriben; Furono fatti insomma molti discorsi,

ir deheiner was al dâ beliben, ma non c'era nessuno che non avesse

Er(n) slueg' sîm' wîb an ie etwaz; qualcosa da ridire sulla propria moglie;

355 ir selben[s] êren truogens' haz. perfino di essere donne d'onore.

Der junge gast her Bertram Il giovane ospite, ser Bertrando,

diz allez in sîn herze nam, considerava tutto questo nel suo cuore

Und lobte Got sêre e rendeva grande lode a Dio

der vil grôzen êre, per la straordinaria gazia

360 Die er im hete getân. che gli aveva fatto (24).

der wirt in guotîchen an L'oste con piacevole cera

Sprach:"wie tuot ir, herre, sô, gli chiese: "Come va, signore,

daz ir uns niht machet vrô, che voi non ci fate divertire

Mit etlîchem maere schîn raccontando qualcosa

365 von iuwer l’eben wirtîn?" della vostra cara mogliettina?".

Der junglink sprach:"das sol sîn. Il giovane rispose: "D'accordo.

Ich bân dâ heirn ein reinez wîp, Io ho a casa una moglie onesta

der vil minneklîcher lîp che mi ama di vero amore e

Mich dikke vrô machet... mi rende felice...

 

Il poemetto di Ruprecht appartiene al gruppo di versioni "a conclusione

immediata" , e contiene inoltre tratti particolarmente crudi, di derivazione arcaica (25). E` singolare che il Boccaccio abbia scelto di servirsi di una versione come questa, quando doveva avere a sua disposizione versioni dell'ultimo gruppo, "a conclusione rimandata". Dev'essere stata proprio la scena del dialogo fra mercanti - in contrapposizione alle scene di corte delle altre versioni - a stimolare la fantasia del Boccaccio, inducendolo a ricrearla con tutto quel più di vivacità, di approfondimento psicologico (26) , di plausibilità che ne fa una novella tipicamente decameroniana.

 

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Il Boccaccio ha comunque fatto un'operazione cosciente di contaminazione fra diverse versioni. La prova decisiva per la convinzione d'adulterio è, nella maggior parte delle versioni, un "segno" corporeo, un neo in una parte intima della donna. Per le versioni antiche questo "segno" è sulla coscia della donna. Il neo appare collocato sul petto della donna per la prima volta nel Roman de la Violette, un poemetto della prima metà del XIII secolo(27). Qui il seduttore, introdotto di nascosto da una vecchia servente nella stanza in cui la donna fa il bagno,

 

...voit sor sa destre mamiele

Une vîolete nouviele

Inde paroir sor la car blanke (vv. 648-650).

 

Che Zinevra avesse il neo "sotto la sinistra poppa" appare una variazione perfettamente comprensibile; ma la concordanza attira l'attenzione perché il Roman de la Violette e la novella della Zinevra sono le uniche versioni ad adottare questa variante del motivo prima del 1350. Tuttavia l`indizio, così isolato, non permette di affermare che il Boccaccio conoscesse il Roman; solo che il motivo, in qualunque modo fosse pervenuto al Boccaccio, aveva molto probabilmente nel Roman il suo archetipo e il suo propulsore.

 

Altre concordanze singolari si verificano fra la novella del Boccaccio e l'altra versione italiana antica del ciclo, il Cantare di Madonna Elena. Perché si tratta di un'altra versione italiana, e perché i rapporti fra Boccaccio e i cantari sono sempre una questione delicata, la discussione delle relazioni fra queste due versioni richiederà un'analisi un po' più attenta. Prima di tutto, presentiamo i punti di contatto:

 

1) nel cantare i termini della scommessa comprendono, molto esplicitamente, la messa in gioco della testa; fra le versioni del gruppo 1 b (conclusione immediata; punizione comminata all'uomo), è anzi il solo a dichiarare la posta con tanta chiarezza(28). Nelle versioni della seconda categoria, la posta e generalmente il feudo degli scommettitori. Ora, è abbastanza singolare che la prima posta proposta da Bernabò sia proprio la testa:

 

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Ma poi che tu di' che tutte sono così pieghevoli e che '1 tuo ingegno è cotanto, acciò che io ti faccia certo della onestà della donna mia, io son disposto che mi sia tagliata la testa se tu mai a cosa che ti piaccia in cotale atto la puoi conducere...

 

al che Ambrogiuolo, col suo atteggiamento di superiorità, replica - ed è lui dunque che, moderando l'eccesso di Bernabò, mette in primo piano il buonsenso borghese e contiene l'accenno romanzesco nell'ambito del realismo boccacciano -:

 

Bernabò, io non so quello ch'io mi facessi del tuo sangue, se io vincessi; ma se tu hai voglia di vedere pruova di ciò che io ho già ragionato, metti cinquemilia fiorin d'oro de' tuoi, che meno ti deono esser cari che la testa, contro a mille de' miei ... ;

 

2) il cantare e la novella sono i soli racconti a mettere in rilievo i dipinti nella camera degli sposi;

 

3) il cantare e la novella sono i soli racconti, a quest'altezza cronologica, ad adornare il neo della donna di "alquanti peluzzi biondi come oro" (29).

 

Le concordanze sono, come si vede, dettagli isolati; ma non trascurabili. Si pone immediatamente il problema: è plausibile che il Boccaccio abbia conosciuto il Cantare (30)? La datazione dei manoscritti che ce ne trasmettono i testi offre a prima vista un argomento decisamente contrario: tanto a ms. Moreniano Bigazzi 213 che riporta la redazione toscana quanto il ms di Perugia (Augusta C 43), che ci ha conservato la redazione padana, appartengono alla prima metà del Quattrocento. È vero che le due redazioni risalgono a un archetipo comune (31), il che fa risalire indietro di qualche tempo l'apparizione in Italia del Cantare. Ma in realtà non abbiamo bisogno di forzare troppo all'indietro la datazione del cantare, perché sappiamo che una versione della storia simile a quella trasmessa dal cantare era nota nell'Italia meridionale nella seconda metà del XIV secolo. La storia di Madonna Elena compare infatti inequivocabilmente fra i dipinti del soffitto Chiaramonte, eseguiti fra il 1377 e il 1380, come indicato prima dal Gabrici e dal Levi e poi dal Bologna (32).

 

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Viene in mente che uno dei tre miracoli in latino appartenenti al ciclo della scommessa, trasmessici dal ms 468 di Tours ci presenta, fino all'episodio in cui la donna scampa alla vendetta del marito, una versione estremamente vicina a quella del cantare, salvo a modificare pesantemente la seconda parte per fini edificanti. Il ms 468 - quattrocentesco - copia una raccolta di exempla della fine del XIII secolo. Bisogna quindi ammettere che tra la fine del Duecento e l'epoca in cui furono eseguiti i dipinti del soffitto Chiaramonte, sia stata in circolazione una particolare versione della storia che noi abbiamo documentata esplicitamente soltanto dal cantare. Impossibile decidere se questa abbia assunto fin dall'inizio in Italia una forma canterina, o se sia circolata in latino (sotto forma di exemplum?)(33), o piuttosto in tutt'e due le forme. La conclusione è comunque che il Boccaccio poteva benissimo aver conosciuto una versione simile a quella rappresentata dal Cantare, e la sua memoria poetica gli aveva ripresentato certi dettagli al momento di costruire la sua novella della scommessa.

 

La parte più nuova della versione del Boccaccio, rispetto alle altre occorrenze del ciclo della scommessa, appare quella relativa alle peripezie della donna. Per queste, le versioni del ciclo della scommessa sicuramente anteriori al Decameron non offrono alcun parallelo, se non l'astratto procedimento per cui la donna, travestita da uomo, passa dal servizio di un'autorità a quella di un'autorità più alta. Ma la ricerca può essere più fruttuosa se ci si distacca dal cerchio chiuso delle versioni del ciclo e si esplorano i motivi e i procedimenti della novella boccacciana nell'ambito più vasto della narrativa romanzesca. Si individua subito, allora, il motivo della donna innocente che scampa dalle mani di un servo, che aveva avuto l'incarico di ucciderla. È molto probabile che, qualunque ne sia stata l'origine più lontana, il motivo debba la sua forza alla straordinaria diffusione della storia di Tristano e Isotta. Si ricordi il momento in cui Isotta vuol fare uccidere la fedele Bringvain e l'affida a due servi perché l'uccidano nel bosco. Il trattamento dell'episodio nel Tristan di Thomas (secondo la ricostruzione del Bédier) è esattamente lo stesso, incluso il dialogo

 

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con cui il servo annuncia alla donna la necessità dell'omicidio, rivela che l'ordine viene dal padrone (o dalla regina), la donna protesta la sua innocenza. Il Tristano riccardiano offre addirittura una consonanza testuale nell'ambientazione del delitto: "e a tanto sì andano in tale maniera che fuerono venuti a una profonda valle nelo diserto ..." (34). È interessante però osservare che il Boccaccio adotta il motivo filtrandolo attraverso una variante che doveva avere già allignato in Italia poiché la incontriamo nel poema franco-veneto di Berta da li pe grandi. Qui è la damigella che ha preso il posto della regina nel letto del re, che ordina ai suoi servi di condurre la vera regina nel bosco e di ucciderla:

 

...quela quer piaté,

Da[va]nti lor se fu ençenoilé.

"A! segnur", fait ella, "mercé, por l'amor Dé

No me onciés, qe farisi gran peçé.

Se vu la vite por Deo me lasé

En tal logo andarò, mais novella non oldiré". (vv. 2072-2077) (35)

 

La battuta di Berta, cioè, consuona con quella di Zinevra:

 

io ti giuro [ ...] che io mi dileguerò ad andronne in parte che mai né a lui né a te né in queste contrade di me perverrà alcuna novella.

 

Nella fantasia del Boccaccio la versione originaria del motivo isottiano è venuto dunque a confluire con un'altra versione, variante dello stesso motivo.

Ma la vera innovazione del Boccaccio, nel quadro delle versioni del ciclo

della scommessa, sembra consistere nell'aver trasportato l'eroina in Oriente,

alla corte di un Sultano, e nell'aver affidato a lei la responsabilità di indurre il colpevole alla confessione (36) davanti a un'autorità capace di punirlo (37).

Ora a me pare che queste innovazioni del Boccaccio si possano spiegare facendo intervenire nel quadro il romanzo in prosa francese La fille du Copte de Pontieu (38).

 

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Anche qui una moglie viene ritenuta ingiustamente colpevole di un crimine contro il marito; il padre stesso la punisce portandola su una nave e abbandonandola in mare in una botte. La botte viene raccolta da una nave di mercanti saraceni che offrono la donna in dono al Sultano di Aumarie, e quest'ultimo apprezza tanto la donna che la sposa. Dopo qualche anno il marito e il padre, partiti crociati per l'Oriente, sono costretti da una tempesta ad approdare in Aumarie e finiscono prigionieri del Sultano. Qui la donna li riconosce, e ottiene di liberarli e di tenerli al suo seguito, senza che essi la riconoscano. Finalmente ella li interroga severamente sulla sorte della rispettiva moglie e figlia e, ottenuta la loro confessione e la sicurezza del loro pentimento, fugge e torna in Europa con loro.

Prima ancora di discutere le somiglianze fra la vicenda della Fille du comte de Pontieu e la continuazione della novella di Zinevra, vorrei indicare un'interessante concordanza fra questo romanzo francese e un'altra opera del Boccaccio, anteriore al Decameron. Si ricorderà che l'episodio iniziale del Filocolo consiste nella decisione del nobile romano Quinto Lelio Africano e di sua moglie di recarsi in pellegrinaggio a San Giacomo di Compostella per impetrare la grazia di avere un figlio. Questo è un luogo comune nella letteratura medievale, e si trova in particolare nelle storie di Fiorio e Blancifiore, che sono per l'appunto l'antecedente del romanzo del Boccaccio. Ma mentre le versioni francesi sorvolano sulle ragioni del viaggio verso San Giacomo, e il cantare italiano afferma rapidamente: "A santo Iacopo promise andare/ se la moglie potese ingravidare", il Boccaccio si sofferma distesamente sull'episodio dei voto e sull'insistenza con cui la moglie chiede e ottiene di accompagnare il marito. Lo stesso trattamento del motivo si riscontra nella Fille du Comte de Pontieu. Anche qui la coppia è rimasta cinque anni senza aver figli; il marito esprime allora in un soliloquio il suo disappunto e il voto, che comunica alla moglie; quand'egli si appresta a partire, la moglie insiste per accompagnarlo e il marito, dopo un tentativo di dissuasione con l'argomento che il viaggio sarebbe stato troppo faticoso per lei, glielo accorda(39).

 

Sembra quindi plausibile che il Boccaccio conoscesse questo romanzo, e non apparira sorprendente che certi tratti di questa storia abbiano influenzato il trattamento delle vicende di Zinevra. Infatti, anche se il gentiluomo catalano che ha raccolto Sicuran da Finale non viene definito esplicitamente

 

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mercante, lo vediamo ben presto navigare verso Alessandria "con un suo carico"; e anche lui si sente in dovere di offrire un dono al sultano ("e portò certi falconi pellegrini al soldano, e presentògliele"). In entrambi i racconti la donna ottiene una posizione influente presso il sultano; una volta che il caso ha condotto i suoi uomini presso di lei, se li fa amici senza che essi la riconoscano, e finalmente li interroga severamente sul loro comportamento nei confronti della donna, senza che essi sospettino di trovarsi di fronte a lei. Seguono in entrambi i casi la rivelazione e la riconciliazione. Il punto cruciale dell'interrogatorio rivela un contatto preciso:

 

Ele s'asist devant iaus, si les apela et dist: "Seignour, vous m'avés dit de vostre afaire une partie, or voel jou savoir se çou est voirs ke vous m'avés dit u non [ ... ] Si vous di bien ke vous ne fustes onques si priés de honteuse mort com vous estes ore, se vous verité ne me dites de çou ke je vous demanderai, et bien savrai se vous voir me dites. Vostre fille, ke cist chevaliers ot, ke devint ele?" (p. 34)

 

Il soldano [ ... ] con rigido viso ad Ambrogiuol comandò che il vero dicesse come a Bernabò vinti avesse cinquemilia fiorin d'oro: e quivi era presente Sicurano, in cui Ambrogiuolo più avea di fidanza, il quale con viso troppo più turbato gli minacciava gravissimi tormenti se nol dicesse [ ... ] E avendo Ambrogiuolo detto, Sicurano, quasi esecutore del soldano, in quello rivolto a Bernabò disse: - E tu che facesti per questa bugia alla tua donna?

 

Si potrebbe addirittura osservare che, mentre nel romanzo francese il modo in cui è condotto l'interrogatorio ha una sua chiara giustificazione (la donna può ben affermare "et bien savrai se vous voir me dites"), lo stesso non si può dire dell'interrogatorio boccacciano: non si capisce davvero perché Ambrogiuolo, che aveva più volte raccontato la sua bugia, e sempre con esiti felici ("Avea già Sicurano fatta raccontare ad Ambrogiuolo la novella davanti al soldano e fattone al soldano prendere piacere") questa volta si induce a confessare l'inganno solo perché Sicurano lo invita severamente a dire la verità. Siamo dunque di fronte a uno di quei casi in cui la riproduzione di un motivo appartenente a un racconto diverso produce una discrepanza nel tessuto narrativo dei racconto che l'accoglie.

 

Tornando per un attimo alla questione della novella trecentesca anonima, osserviamo che ricompaiono in quella non solo tutti i tratti distintivi della versione del Boccaccio, ma particolarmente quelli che, per avere una fonte idenfificabile e estranea al ciclo della scommessa, possono essere considerati precisamente innovazioni di una delle versioni italiane. Ora a me sembra molto più plausibile che autore di tali contaminazioni e innovazioni sia stato il Boccaccio, anziché l'ignoto rifacitore della novella, che lo stile pedestre e popolare del testo rivela come non sofisticato e incolto.

 

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La ricognizione dei testi da mettere in relazione con la novella di Zinevra non sarebbe completa se non additassimo all'attenzione degli studiosi un'ultima versione, non menzionata finora perché documentata da un manoscritto molto tardo: la novella medioinglese pubblicata da W.H. Hulme di su un manoscritto da lui scoperto (Worcester Cathedral fol. 172)(40), composto nell'ultimo quarto del Quattrocento e contenente fra l'altro una traduzione inglese della Disciplina clericalis di Pietro Alfonso. La raccolta omette otto dei racconti che si trovano nelle versioni complete della Disciplina, ma ne ha in compenso due o tre "that have not been found in any other translation or adaptation". Una di queste attestazioni uniche è quella che allo studioso appare come "the shortest, most simple, and most primitive form of any of the tales of the well-known cycle of "The Woman Falsely Accused"", e che è invece, secondo la mia classificazione, una versione appartenente allo stesso gruppo della novella del Decameron.

 

L'ambientazione è, ancora una volta, mercantile (Ther were ii marchauntis in Rome); la donna, scacciata dalla sua città come adultera, perviene ad Alessandria dove acquista la fiducia del re; da lui è poi mandata all'imperatore di Roma. Fra i poveri della città ella ritrova il marito, al quale fa raccontare davanti al seduttore il tradimento di cui era stato vittima. Nel corso di una festa il seduttore confessa la sua colpa - non si capisce come o perché - davanti a tutti ed è condannato a morte:

 

... cam into Alisaunder and covered and hid with strength and kynde of clothis berying hyrnsilf evene to the king in manyfold service, in the friendship of the kyng hym bare as myght be in curtesye most swift and light as admynistratrice of al the Realme. The kynges Rentis wern infinytily multiplied bi his providence. Than themperour of Rome dede. His yong sone whan he Empired in the Empire herd of the sapient wisdam of hyrn of Alisaunder [and] sent [for] hyrn to Rome. [He] peased thempire. Restored soft and easy lawes into the friendship of themperour and the Citezenis and the provynce with his high merites, nat puttyng hymsilf any symulacioun or token unto his traitour. Bi hap and fortune (she] fond hir husbond among poore folk most porest and dide hyrn to be nurrissbed. And bifore his traitour dide to be Rehersed his treason before the Citezeyns. That don [he] arraied a feste to the delectacioun, that is to say, of felawship and festers. Than at last he opened and [was] deemed into deth of his owne confessioun. The pore man went his wey and she to hir husbond.

 

Il travestimento in vesti maschili (che sembra di poter arguire nonostante l'oscurità del passaggio), il passaggio dal servizio di un'autorità (il re d'Alessandria) a quello di un'autorità superiore

 

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(l'imperatore di Roma), e l'aver ritrovato il marito fra i poveri della città collegano questa versione sia al terzo miracolo di Tours, anteriore al Boccaccio, (dove l'intenzione edificante modifica molto probabilmente un dato originario per immettere l'eroina in un ambiente conventuale)(41), sia all'Oton roi d'Espagne (posteriore al Decameron, ma la cui tradizione compare completamente estranea a quella italiana), dove la donna travestita si alloga al servizio del re di Granada, è da questi mandata come messaggero all'imperatore di Roma e in viaggio fa prigioniero il marito. Ma la collocazione geografica del primo re (Alessandria), la posizione di prestigio della donna travestita, la sua lunga simulazione nei confronti del traditore e la conclusione con la pena capitale in seguito a un giudizio (e non a un duello) allontanano la novella medioinglese dalle versioni francesi per accostarla decisamente a quella della novella di Zinevra.

 

Tuttavia la novella medioinglese non sembra dipendere da quella del Boccaccio. Vi mancano infatti certi tratti distintivi e importanti della novella, come lo stratagemma della cassa per introdursi nella camera della donna, il motivo di Bringvain, il processo al seduttore e al marito in presenza del Sultano. Posta della scommessa tornano ad essere "al their possessioun" (come nel poemetto tedesco, con il quale la novella condivide l'ambientazione mercantile), e non grosse somme di denaro. Il seduttore viene in possesso di gioielli e del segreto della donna tramite una damigella, e il neo è sulla coscia e non sul petto della donna, come nella maggior parte delle versioni francesi. La versione medioinglese, pur poco leggibile per l'evidente stato di corruzione del testo e la sua natura di compendio, appare insomma perfettamente comprensibile nell'ambito delle versioni francesi e non richiede la mediazione della novella del Boccaccio. La spiegazione per i tratti in comune con la novella del Boccaccio si avrebbe dunque soltanto se questa versione fosse stata nota al Boccaccio. E la versione del Boccaccio, nella parte che costituisce la "continuazione" della storia, appare perfettamente spiegabile ammettendo la conoscenza di una versione simile a questa e un intervento boccacciano mirante a riformulare le peregrinazioni di Zinevra sulla falsariga di quelle della Fille du comte de Pontieu.

 

L'editore della novella medioinglese, W.H. Hulme, addita l'interesse della scoperta per gli studiosi di Shakespeare "because it serves to throw a little more light on the difficult question of the ultimate source, or sources, of the plot of Cymbeline". Mi sembra che il testo medioinglese possa essere di

 

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non ancor maggiore interesse per gli studiosi di Boccaccio. Tuttavia, in mancanza di argomenti probanti, l'ipotesi che una versione vicina a quella della novella medioinglese possa rappresentare la versione che offerse al Boccaccio il canovaccio per la sua storia viene qui offerta con grande circospezione, e soltanto allo scopo di illuminare nel modo più esauriente possibile il contesto della novella del Boccaccio.

 

Tornando dunque, alla fine del percorso, a porci la domanda fondamentale della genesi della novella di Zinevra, ripeteremo che non è possibile additare con sicurezza, fra le versioni superstiti del ciclo della scommessa, una fonte precisa, seguita dal Boccaccio dall'inizio alla fine. E ragionevole però ammettere che il Boccaccio conoscesse almeno una versione del tipo IIb, perduta, di cui si può avere un'idea attraverso la novella medioinglese. È stato possibile indicare una concordanza precisa con una versione che apparteneva a tutt'altro gruppo, il Von Zwein Koufmannen; e per quanto sia ammissibile che l'ambientazione mercantile fosse già penetrata nella fonte principale del Boccaccio, e anche plausibile che Boccaccio conoscesse più d'una versione della storia e che abbia scelto suggerimenti di provenienza diversa per renderli funzionali alla sua versione e al suo trattamento degli episodi. Abbiamo già accennato alla straordinaria sapidità della scena fra mercanti, che giustifica la scelta di ricavare un motivo isolato da una versione poco diffusa e peraltro rifiutata per quanto riguarda lo svolgimento della vicenda nel suo insieme. Se davvero il Boccaccio aveva udito il cantare di madonna Elena, è assolutamente magistrale quell'accogliere il motivo della posta in gioco della testa per rintuzzarlo subito dopo, trasformando la posta in fiorini: Boccaccio ne fa la pennellata più vivace del ritratto di Bernabò e se ne serve per illustrare la superiore mondanità e il realismo mercantesco di Ambrogiuolo. Più ancora mi sembra importante l'utilizzazione del romanzo della Fille du Comte de Pontieu per la costruzione della "continuazione" della novella. Il romanzo deve aver offerto al processo di riabilitazione della donna, esposto presumibilmente in forme scarne e/o favolistiche nella fonte principale, concreti suggerimenti per l'articolazione degli episodi e delle situazioni, e soprattutto il modello di un racconto in cui la riabilitazione e la soluzione finale erano dovuti esclusivamente all'iniziativa e all'abilità della donna - iniziativa e abilità intese come capacità di manovrare pazientemente gli eventi, di saper aspettare e di cogliere l'occasione propizia per passare decisamente all'azione risolutoria - una capacita insomma tutta "mercantesca", come è stato indicato da alcuni critici(42). Dalla paziente lettura in filigrana

 

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della novella risulta insomma ancora una volta il sostrato tutto letterario dell`attività narrativa del Boccaccio (43). Se l'indubbia presenza della narrativa anche orale nel patrimonio di conoscenze del Boccaccio, e dunque nel Decameron, sarà un fatto da non sottovalutare, appare comunque interessante in questo caso l'individuazione di antecedenti, per ciascuna delle articolazioni del racconto, in testi che ci sono stati conservati per iscritto. Alcuni di questi - e sicuramente il romanzo della Fille du Comte de Pontieu - sono testi in prosa, a testimonianza di una predilezione e di una ricerca di modelli che non è stata ancora, forse, messa abbastanza in luce negli studi sul Boccaccio. Ma proprio quando arriviamo a riconoscere narrazioni e modelli di cui il Boccaccio si è nutrito, tanto più sorprendente appare la sua straordinaria capacità di infondere nuova vita in triti motivi tradizionali, di utilizzare in maniera convincente episodi che appartenevano originariamente ad altri racconti, o di sfruttare suggerimenti casuali per funzionalizzarli ad uno stile talmente sprizzante di freschezza da permetterci ancora oggi di gustare l'intensa esperienza dell`ascolto e indurci ad abbandonarci alla fascinazione del racconto.

 

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Note:

 

(1) Le più importanti rilevazioni in questo campo sono quelle di R. Ohle, Shakespeares Cymbeline und seine Romanischen Vorläufer, Berlin, Mayer& Müller, 1890, A.C. LEE, The Decameron: its Sources and Analogies, London, D. Nutt, 1909, E. LEVI, I Cantari leggendari del popolo italiano nei secoli XIV e XV (Suppl. n.

16 del GSLI, 1914, pp. 140-148), e soprattutto G. PARIS, "Le cycle de la gageure", in Romania, 32, 1903, pp. 481-551. Più recentemente, G. Almansi si è occupato del settore del "ciclo della scommessa" che porta dalla novella boccaccesca al Cymbeline di Shakespeare (11 ciclo della scommessa dal Decameron al Cymbeline di Shakespeare, Roma, Bulzoni, 197 6),

 

(2) A. ASOR RoSA, "Decameron di Giovanni Boccaccio", in Letteratura italiana. Le Opere.I. Dalle origini al Cinquecento, Torino, Einaudi, 1992, p. 564.

 

(3) G. LAMI, Novelle letterarie pubblicate a Firenze, t. XVII (1756), col. 673-676, 705-708, 737-741, 769-776 e Appendice all'illustrazione storica del Boccaccio scritta da Domenico Maria Manni, Milano, Pirotta, 1920, pp. 40-51; B. ZAMBRINI, Due novelle antiche anteriore al Decameron del Boccaccio, Genova [ma Bologna], 1859, G. ALMANSI, OP. Cit., pp. 81-90.

 

(4) Cfr. E. VINAVER, The Rise of Romance, Oxford, Clarendon Press, 1971.

 

(5) La collocazione alla corte del Gran Cane indica che, in ogni caso, la redazione in questione è postertore alla diffusione del Milione.

 

(6) Per esempio, il tratto secondo cui il giovane ha speso tutto quello che aveva in cortesia, non è solo comune alle novelle di Federigo degli Alberighi e di Nastagio degli Onesti, ma si trova anche, e con attinenza più precisa, nel cantare del Bel Gberardino: "e come tutto ciò che egli avea, / egli l'aveva speso in cortesia" 1, XXVI, 7-8 "e questi cinquanta migliaia di Fiorini d'oro, ch`i`ò manchi, ò spesi in cortesie e in piacete altrui". Sempre nel Bel Gherardino compare il motivo dei naufraghi cristiani che vengono fatti prigionieri in un porto saraceno; nell'episodio del riconoscimento finale della femminilità di Sicuran da Finale, la novella anonima tratteggia l'episodio in una forma che ricorda da vicino un episodio corrispondente del cantare di Madonna Lionessa.

 

(7) La mia classificazione si discosta da quella di Gaston Paris in quanto prende in considerazione come criteri discriminanti dati relativi alla struttura dei racconti e non dati contenutistici.

 

(8) The English and Scottish Popular Ballads, Part IX, a cura di F.J. Child, London, Houghton, Mifflin and Co., 1894, n. 268.

 

(9) Copia quattrocentesca di una raccolta di exempla della fine del XIII secolo, pubblicati da A. HiLKA, Jahres-Bericht der Schlesischen Gesellschaft für vaterländiscbe Cultur, XC (1912).

 

(10) F.H. VON DER HAGEN, Gesamtabenteuer; Hundert altdeutscbe Erzählungen, Stuttgart und Tübingen, 1850. Si veda inoltre la tesi di Ch. GUTNECHT, Die mittelhochdeutsche Versnovelle Von Zwein Koufmannen des R.vw., 1966 (Hamburger Philologische Studien 2, 1971 (2)).

 

 

(11) Trad. inglese in The Mabinogi and other Medieval Welsh Tales, a cura di P.K. Ford, University of California Press, 1977, pp. 164-169.

 

(12) Eklogai apo ta tragoudia tou Ellenikou Laou, a cura di N.G. Politis, Atene, Bagionake, 1969, pp. 111 - 114.

 

(13) Le roman de la rose ou de Guillaume de Dôle, a cura di G. Servois, Paris, Didot, 1893.

 

(14) Il Guillaume de Dôle non prevede esplicitamente una pena di morte; tuttavia l'andamento compatto della storia e le allusioni ad una morte che aspetterebbe Guillaume, probabilmente spie di una storia sulla quale lavorava l'autore dei Guillaume, includono il poemetto di Jean Renart in questo gruppo.

 

(15) È nei racconti di questo gruppo che si insinua l'ulteriore divaricazione nel rapporto fra l'uomo e la donna: in Hanes Taliesin e nel Madonna Elena infatti la donna è moglie del protagonista, nel Guillaume de Dôle e in certe versioni del "Maurianòs" la donna è sorella. La versione con sorella, col Guillaume de Dôle come modello più autorevole, dà luogo a una tradizione notevolmente compatta (in cui il motivo della morte dell'uomo, è scomparso) che comprende, per questi primi secoli, il "Guillaume de Nevers" e una "Nouvelle de Sens".

 

(16) Le roman du Comte de Poitiers,poème français du XIII siècle, a cura di B. Malmberg, Lund, Hakan 0hlssons Bocktrickeri, 1940.

 

(17) GERBERT DE MONTREUIL, Le Roman de la Violette ou de Gerard de Nevers, a cura di D.L. Buffum, Paris, Champion, 1928.

 

(18) Nel Roman de la Violette "amie".

 

(19) In Théâtre français du Moyen Age, a cura di F. Michei, Paris, Didot, 1843, pp. 417-430.

 

(20) Nell'Oton roi d'Espagne, un "miracolo" teatrale attribuito al 1380 circa, la donna travestita da scudiero si porta al servizio del re di Granada, viene poi mandato all'imperatore di Roma dove l'intrigo si risolve con il ritrovamento del marito e la confusione del colpevole. In Miracles de Nostre Dame, a cura di G. Paris e U. Robert, iv, Paris, Didot, 1879, pp. 319-388.

 

(21) Una simile progressione e, in quanto laica (prima presso il re d'Alessandria poi presso l'imperatore di Roma), più vicina al racconto del Boccaccio, si trova nella novella inglese del ms Worcester Cathedral 172 Cfr. infra, p. 199 ss.

 

(22) G. PAris, "Le conte de la gageure dans Boccacce", in Miscellanea Graf Bergamo, 1903, citato da V. Branca nella nota introduttiva alla novella.

 

(23) Il rifacimento tedesco è lungo 946 versi. Il tema della donna che inganna dei pretendenti per restar fedele al marito non è del tutto estraneo alla tradizione dei favolelli. E del resto è noto che i confini tra lai, favolello e poemetto, per dir così, novellistico, sono abbastanza sfumati.

 

(24) Cfr. Decameron, II. 9: Bernabò un poco turbatetto disse che non lo 'mperadore ma Idio, il quale poteva un poco più che lo 'mperadore, gli avea questa grazia conceduta.

 

(25) La prova dell'adulterio consiste nel dito mignolo di una donna, che il seduttore ha tagliato la notte in cui l'ha effettivamente posseduta. Solo che la donna era una serva e non la moglie dell'avversario. Cfr. G. Paris, "Le cycle de la gageure" cit., p. 483.

 

(26)1 Cfr. G. ALMANSI, "Lettura della novella di Bernabò e Zinevra", in Il ciclo della scommessa citato, pp. 27-44; M. BARATTO, Realtà e stile nel Decameron, Vicenza, Neri Pozza, 1970, pp. 169-170,

 

(27)Il Roman de la Violette appare il risultato della contaminazione di due versioni del racconto della scommessa: quella rappresentata dal Compte de Poitiers e quella rappresentata dal Guillaume de Dôle. Cfr. G. PAris, "Le cycle de la gageure" cit., pp. 539-540 e D. LABAREE BUFFUM, Introduzione alla sua edizione del Roman de la Violette cit., xt. ss.

 

(28) "de la battaglia ne darò il guanto: / perda la testa chi non prova il vanto"; l'avversario conferma: "e sì la posso avere a mia richiesta; / se non è vero io vo' perder la testa" e Carlomagno garantisce: "e chi non

prova il vanto per ragione [...] subitamente il farò dicapare ... ". Nel poemetto tedesco sono posti in gioco tutti i beni degli scommettitori. Cfr. inoltre il mio articolo "La situazione iniziale nel cantare di Madonna

Elena", Medioevo romanzo, XVIII (1993), pp. 91-103.

 

(29)" Nel cantare il "segno" sul corpo della donna compare soltanto nella versione padana: "tri pili i à biondi e riçoleli" XXIV, 6.

 

(30) L'ipotesi contraria appare immediatamente meno plausibile: il cantare si inserisce chiaramente in una tradizione di rifacimenti d'ambito romanzesco e, con ogni probabilità, ripeteva con una capacità di rimaneggiamento minima, una storia francese. Cfr. un mio articolo, "Il Cantare di Madonna Elena e la tradizione romanzesca del ciclo defia scommessa" in una miscellanea in preparazione in memoria di G. Contini a cura di G . Mazzoni.

 

(31) Le mie conclusioni a questo proposito (cfr. "19 Cantare di Madonna Elena" e l'elaborazione del poemetto cavalleresco in Itafla", Yearbook of Italian Studies, 10, 1992 pp. 53-107) coincidono con quelle del contemporaneo editore: cfr. Il Cantare di Madonna Elena, a cura di G. Fontana, Firenze, Accademia della Crusca, 1992.

 

(32) E. GABRICI, "La materia del Cantare di Elena nel soffitto Chiaramonte di Palermo", Giornale di Sicilia, 1923, n. 202; E. LEVI, "L'epopea medievale delle pitture del palazzo Chiaramonte a Palermo: la storia di Elena", Dedalo, v (1925), pp. 133 ss.; F. BOLOGNA, Il soffitto della Sala Magna allo Steri di Palermo, Palermo, Flaccovio, 1975.

 

(33) I dipinti dei soffitto Chiaramonte sono accompagnati da iscrizioni latine: Karolus magnus, dominus Rogerius, Guarnerius proditor magnus, Colloquiton proditionis Helenae Falsa et iniqua probacio Guarnerii, Nobilis domina Helena ’nterfecit Guarnerium, Nobilis domina Helena decollavit Guarnerium, il che tenderebbe ad escludere una versione volgare come ispiratrice dei dipinti e farebbe pensare a una versione esemplare. Non era raro però che testi in latino adombrassero narrazioni romanzesche in volgare, com'è il caso, per esempio, per il secondo miracolo del ms. di Tours che ha tutta l'aria d'aver come fonte un rifacimento dei Guillaume de Dôl. Cfr. V.F. KOENIG, "Guillaume de Dôle and Guillaume de Nevers", in Modern PhiIology 45 (1948), pp. 145-151.

 

(34) La leggenda di Tristano, a cura di Luigi Di Benedetto, Bari, Laterza, 1942, p. 90, che cita dall'edizione Parodi del Tristano riccardiano.

 

(35)La "Geste Francor" di Venezia, a cura di Aldo Rosellini, Brescia, La Scuola, 1986. Il poema di Adenet le Roi, Berte aux grans piés, tratta l'episodio diversamente.

 

(36) Nelle altre versioni o il colpevole rivela spontaneamente il suo inganno, ignaro della presenza del marito; o la donna confonde il colpevole inducendolo con uno stratagemma ad affermare di non averla, mai veduta.

 

(37) Nelle altre versioni, d'ambientazione feudale, l'autorità che punisce il seduttore è la stessa davanti alla quale era avvenuta la scommessa, con un caratteristico andamento a circolo chiuso; la novella del Boccaccio invece non prevede una corte all'inizio, per cui l'autorità giudicante è collocata in una lontananza avventurosa; la chiusura del circolo avviene col ritorno dei due protagonisti, marito e moglie, al punto da cui entrambi erano partiti.

 

(38) Ia fille du comte de Pontieu, a cura di Clovis Brunel, Paris, Champion, 1923.

 

(39) La fille du comte de Pontieu cit., pp. 4-5. Si può avvertire una certa qual consonanza nelle espressioni seguenti, nonostante elaborino un luogo comune: Filocolo: "E così come a niuno, che divotamente giusto dono ti dimanda, il nieghi, cosi a me la mia dimanda, se è giusta, non negare..."; La Fille du Comte de Pontieu: Il pensa de monsengneur saint Jake qu'il dona as vrais requerans ço qu'il li demandoient, et premist sa voie.

 

(40) W.H. HULME, "A Middle English Addition io the Wager Cycle", in Modern Language Notes, XXIV (1909), pp. 218-222. Per la descrizione del manoscritto: W.H. HULME, "A Valuable Middle English Manuscript", in Modern Philology, iv (1906), pp. 67-73.

 

(41) Que evadens et de veste sua vestem virilem faciens, ad abbaciam monachorum declinans, conversum se fecit et optime se habens per abbatem traditus est regi pro elemosinario [ ... ]Tandem elemosinam erogans et maritum qui fugerat inter alios considerans, ad partem trahens recreavit ... Cfr. Jahres-Bericht der Schelischen Gesellscbaft für vaterländiscbe Cultur, xc (1912) 16.

 

(42) Un comportamento simile sarà attribuito anche a Giletta, la protagonista di Decameron in III.9: cfr.Pamela D. Stewart, "How to Get a Happy Ending, Decameron III.9 and Shakespeare's All`s Well", in Studi sul Boccaccio 20 (1991-1992), pp. 325-344.

 

(43) Cfr. V. BRANCA, "Schemi letterari e schemi autobiografici" e "Un modello medievale per l'Introduzione", in Boccaccio medievale, Firenze, Sansoni 1975 4, pp. 191-249 e 335-341.