Per motivi di guerra il re di Francia è costretto a lasciare Parigi insieme a suo figlio. Di conseguenza il conte Gualtieri dAnversa viene incaricato di badare alla corte, alla regina e alla giovane nuora. Egli è un "gentile e savio uomo", un caro amico e un fedele servitore, ma oltre a ciò è anche una persona atta a delicatezze. Un "dilicato cavaliere" insomma che, nonostante "ammaestrato nellarte della guerra", è più adatto, secondo il re, allaffidamento e alla custodia del suo reame.
Gualtieri pur essendo vedovo e padre di due figli non supera i quarantanni e possiede un corpo bellissimo e dei costumi tanto piacevoli. Queste qualità fanno innamorare la principessa di lui che in assenza di suo marito si sente sola e ancora più attratta dal fascino del conte. La donna tenta di sedurre Gualtieri e certissima che il suo amore non sarebbe stato respinto "già al collo si voleva gittare", cosicché il conte è costretto a respingerla. Ella, offesa nellanimo dal rifiuto e accesa dalla rabbia, architetta la calunnia. Gualtieri temendo che "fosse più fede data alla malvagità della donna che alla sua innocenzia" fugge con i suoi figli abbandonando tutte le sue ricchezze, ma non il suo animo nobile.
La notizia della sua condanna a esilio perpetuo lo spinge in fretta fino in Inghilterra. Diventato povere è costretto a chiedere lelemosina e malgrado il dolore della separazione affida i suoi figli a due famiglie di nobile stato sociale. Egli muta i loro nomi e li raccomanda di celare le loro origini di modo che il loro futuro non sarà condizionato dal nome macchiato (anche se ingiustamente) del padre e liberato così da sofferenze.
Il conte prosegue con il suo cammino fino in Irlanda, dove resterà lunghi anni come fante al servizio di un vassallo dun conte. In nobile silenzio egli accetta il suo destino e il suo misero stato. Il passato è lontano, ma non del tutto dimenticato. Dopo 18 anni infatti Gualtieri decide di ritornare in Inghilterra per scoprire qualcosa sulla sorte capitata ai suoi due figli.
Per primo rivede Perotto che è diventato maniscalco del re e un gran signore. Il padre però non si fa riconoscere, perché vuole prima avere notizie di Giannetta.
La figlia la ritrova moglie di Giachetto, figlio della dama alla quale laveva affidata, e madre di più figlioli. Il conte felice della prosperità dei figli rimane in veste di mendicante nelle vicinanze di Giannetta. Giachetto incontrandolo e provando compassione laccoglie in casa sua e gli dà da mangiare. I nipotini sentono subito unaffezione particolare per il nonno e gli fanno festa ("[
] quasi da occulta virtù mossi avesser sentito costui loro avolo essere."; §78 ). Gualtieri però non rivela la sua vera identità e nemmeno Giannetta riconosce nel poveruomo suo padre. Giachetto gli concede di restare grazie alla simpatia che i suoi figli provono nei suoi confronti. Così quando Giachetto viene chiamato dal re per sostenerlo in guerra, il conte laccompagna come fante.
Al momento di morire la principessa, ora regina di Francia, confessa finalmente il suo peccato e smentisce la calunnia fatta ingiustamente al conte. Il re lascia ora cercare il conte per liberarlo dallesilio e per restituirgli i suoi beni. Gualtieri intravede la possibilità di farsi rendere giustizia e prega Giachetto di andare con lui dallaltro maniscalco del re, ovvero da suo figlio Perotto.
La confessione della regina ha eliminato tutti i pericoli e il conte, prima davanti a Perotto e Giachetto e poi anche in presenza del re, svela finalmente la sua vera identità. Il lieto fine è assicurato. Ora seguono lacrime e abbracci e scene di perdono.
Il re gli rende i suoi beni e fatta chiamare anche Giannetta la famiglia festeggia insieme la loro unione.
Resta da dire che il conte dAnversa è il protagonista principale della novella. La sua persona è presente dal principio alla fine. Gli eventi sono subordinati alla sua psicologia e "anche quando è fuori scena, e lo è a lungo, resta perfettamente nel centro di tutti gli avvenimenti."(È la sua onestà a fargli scegliere la fuga, è lamore paterno che decide per i figli, ed è sempre lui a giudicare, quando tornare e quando interrompere il silenzio.)
U. Bosco, Il "Decameron", Bibliotheca Editrice, Rieti, 1929, pp. III sgg.