Premessa
Quanto più spesso è stato citato il rapporto fra exempla e Decameron tanto più fatalmente è stato quasi sempre ridotto a riscontri meccanici e in confini mortificanti. È un rapporto istituito da duecent'anni a ieri quasi esclusivamente nella prospettiva particolaristica e materialistica delle così dette «fonti» (ma oggi, dopo alcuni miei cenni in Boccaccio medievale, Firenze 1956, 1981 (5ª ed.), pp. 23 ss., 169 ss. c'è stato qualche segno di rinnovamento, ad esempio negli articoli di M. Picone in «Strumenti critici», 34, 1977, e in AA.VV., La parola ritrovata, Palermo 1983). C'era spesso, almeno programmaticamente, il puntiglio positivistico di mostrare che lo scrittore - si chiami pure Boccaccio - non inventa nulla o quasi, ma è semplicemente un abile rielaboratore (per non dire plagiario) che registra fatti e utilizza testi precedenti.
Ci si limitava, di regola, a indicare per questa o quella novella del Decameron la «fonte» più o meno diretta, più o meno puntuale in un exemplum antecedente, fosse di Valerio Massimo o Orosio, di Gregorio Magno o Pietro Damiani o Pietro Alfonso, di Onorio Augustodunense o Cesario di Heisterbach, di Vincenzo di Beauvais o Stefano di Borbone o Giacomo di Vitry. Ci si riferiva indifferentemente, come a un grande deposito di vecchi e caotici materiali che lo scrittore usasse liberamente per le sue nuove manipolazioni, agli exempla dell'antichità classica, a quelli della patristica, a quelli dell'alto Medioevo, a quelli della cultura cistercense, a quelli dell'apostolato degli ordini mendicanti, o addirittura a quelli del periodo delle sillogi enciclopediche o delle raccolte sistematiche nel Duecento e nei primi del Trecento. Pur di trovare una «fonte» non si
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badava alle profonde e sostanziali differenze fra quegli exempla stessi, alla loro diversa impostazione e alla loro diversa finalità, che ne mutavano profondamente il senso letterario, culturale, umano. Cambiava, in conseguenza, evidentemente anche il senso del loro rapporto colla novella per cui erano citati.
Non importa del resto tanto identificare singole fonti quanto cogliere le vie, le ragioni, i modi, le forme che hanno favorito l'affermarsi della narrativa, e particolarmente della novellistica, quale espressione nuova e caratteristica dell'Europa medievale. Il Decameron, come ogni opera d'arte, non nasce - checché ne dicano certe odierne teorie critiche astoriche anzi acroniche - fuori di un tessuto culturale ben determinato storicamente e fuori dalle grandi tradizioni culturali-letterarie più dinamicamente presenti, più nuovamente vive e sollecitanti nel suo tempo.
Una di queste tradizioni in movimento, anzi in rapida e folgorante affermazione, era allora, com'è noto, proprio quella degli exempla, presenti in raccolte organiche e sistematiche, secondo visioni e schemi di carattere teologico, morale, psicologico, sociale. Le molte serie casuali e incondite precedenti vengono nella seconda metà del Duecento sostituite e presto spazzate via dalle sillogi ordinate secondo certe idee, certe tipologie, certe categorie religiose, morali, psicologiche, sociali, sotto la sollecitazione delle esigenze della scuola e della predicazione fra XII e XIII secolo. Spesso anzi non fanno che ubbidire alle tecniche intellettuali che ormai prevalgono nella strumentazione del predicatore a cominciare dall'ordinamento alfabetico (a questo proposito è studio illuminante sull'evoluzione delle Distinctiones: R.H. e M.A. ROUSE, Preachers, Florilegia and Sermons, Toronto 1979).
È un fenomeno ben noto e imponente nell'Europa tra la fine del secolo XII e quella del XIII (basti consultare le opere generali più note: J. TH. WELTER, L'«Exemplum» dans la littérature religieuse et didactique du Moyen ge, Parigi 1927; F.C. TUBACH, Index exemplorum, Helsinki 1969; C. DELCORNO, Giordano da Pisa, Firenze 1975; F. C. SCHMITT, Le Saint Lévrier, Parigi 1979; AA.VV., Rbétorique et histoire. L'exemplum et le modèle de comportement dans le discours antique et médiéval, Roma 1980; CH. BRÉMOND-J. LE GOFF-J.C. SCHMITT, L'Exemplum, Turnhout 1982 e la recente rassegna del DELCORNO, Nuovi studi sull'exemplum, in «Lettere Italiane», XXXVI 1984). È un'evoluzione probabilmente accelerata e sollecitata dalla
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richiesta insistente della predicazione degli ordini mendicanti, rivolta com'era a una cerchia di pubblico molto più vasto e più popolare, molto più dislocato in senso geografico e differenziato in senso sociale (si affermano proprio allora i sermones ad status). Gli exempla su un pubblico semicolto o incolto avevano, come scriveva Stefano di Borbone, la capacità «ut doctrina citius caperetur, facilius cognosceretur, fortius in memoria retineretur, et efficacius opere adimpleretur», e proprio per questo Giacomo di Vitry «utens exemplis in sermonibus suis adeo totam commovit Franciam» (Anecdotes, ecc. Parigi 1877, pp. 4 e 14).
Tra una forse delle più antiche sillogi, della fine del XII (quella nel ms. Lat. 15912 della Bibliothèque Nationale) e il Tractatus di Stefano di Borbone (1250-60 circa), il Liber di Umberto di Romans (1263-77 c.) è tutto un fiorire di queste raccolte secondo le fasi di evoluzione ben segnate dallo Schmitt (p. 59 ss.). Quelle di Cesario di Heisterbach (1219-23 c.), di Vincenzo di Beauvais (1244-64 c.), di Guglielmo Peraldo (1250 c.?), di Arnoldo di Liegi (1308-10 c.) rappresentano le affermazioni e le opere più diffuse e più utilizzate. Dominano la trattatistica religioso-morale e la predicazione, sono presenti anche nella cultura più elevata, persino in quella di Dante (come ha mostrato il Delcorno, Dante e l'Exemplum medievale, in «Lettere Italiane», XXXV 1983).
Sono tutte sillogi in cui gli exempla più dislocati originariamente nel tempo e nello spazio, più diversi per materia (dai miracula agli episodi dell'agiografia, agli aneddoti antichi e moderni autorevoli per i personaggi in azione o per i testimoni, alle narrazioni derivate dalla novellistica o dal folklore) sono fatti confluire e sono ordinati secondo «distinzioni», secondo temi o problemi generali insieme morali e pratici: cioè secondo «titoli» che ubbidiscono a una concezione cristiana e ieratica della vita, quale transizione da questa valle di lacrime e di peccato alle pene eterne o alla beatitudine celeste. E sono perciò ordinati secondo la successione di forze infernali e forze celesti (p. es. demon, Maria, angeli), di vizi e virtù (p.es. avaritia, luxuria, caro, superbia; penitencia, obedientia, devotio, patientia), di pratiche quotidiane (oratio, confessio, conversio, elemosina), di condizioni spirituali e sociali secondo le nuove esigenze della predicazione ad status (p.es. papa, prelatus, novitius, clericus, miles, iudex, usurarius, uxor).
Sono ordinamenti pratici per la trattatistica e la predicazione,
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perché facilitano il reperimento degli exempla utili a illustrare e convalidare le proposizioni e le affermazioni generali; ma sono anche classificazioni atte a prospettare in qualche modo, attraverso gli exempla - queste rappresentazioni dell'attività dell'uomo sempre bilicato fra virtù e vizio, fra Paradiso e Inferno -, una commedia dell'uomo su questa terra.
Quelle nuove e prepotenti forme di serie di exempla, divampanti per tutta Europa e ben presenti nella Toscana e nel centro Italia del Trecento, costituivano allora l'unica tradizione che tendesse a fare di un complesso di brevi narrazioni un'opera in qualche modo sistematica e unitaria, con impostazione e significati di carattere universale (seppure manca, a quelle raccolte per «rubriche», un sistema per dare a quelle categorie un chiaro significato generale che non sia quello della persuasione morale-religiosa).
Anche a livello letterario e laico i racconti e le novelle erano restati e restavano fino allora riuniti soltanto in agglomerati casuali e inorganici. Le sillogi di fabliaux, o di aneddoti e casi (tipo quelli di Pietro Alfonso), i vari Fiori o Conti, le stesse serie di novelle del tipo Novellino o della miscellanea nel Panciatichiano, presentavano una casualità affine a quella delle più antiche antologie di exempla.
Non dovette sfuggire al Boccaccio, nella sua assidua ricerca - fin dal Filocolo e dall'Ameto - di dare sistemazione organica alle sequenze di novelle, questa forma narrativa nuova, e in prepotente ascesa, delle sillogi di exempla sistemati e presentati in una certa unità: un'unità di tipo ideologico e morale più che meccanica, o a schidionata, o a cassetti successivi, o per legame di situazioni esterne, come quella delle raccolte orientali.
La situazione, sia pure a livelli e con intenti diversi, era analoga per l'exemplum e la novella: ambedue composizioni brevi, di carattere narrativo, dalla materia più diversa, spesso rappresentanti persone di fama note. L'analogia è sottolineata dai continui scambi fra i due filoni narrativi rilevata da tutta la critica e particolarmente dall'ultima: dal Battaglia (La coscienza letteraria del Medioevo, Napoli 1965, pp. 475 ss.), dallo Stierle (in «Poétique», X 1972), dal Delcorno al Le Goff, allo Schmitt.
Ma forse non ancora sufficientemente è stata messa in luce per il Decameron l'affinità delle impostazioni, delle strutture, delle prospettive: tutti fenomeni che dovrebbero essere studiati in maniera generale e sistematica. Basti per ora accennarne solo qualcuno,
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rimandando a successive indagini - già in corso - che pubblicheremo via via in questa sede.
11 Boccaccio - primo fra i nostri grandi scrittori - si indirizza chiaramente, proprio come i raccoglitori di exempla e i predicatori allora di maggior successo, a un pubblico tutto quotidiano, di scarsa cultura: alle «vaghe donne», «a' semplici». E si propone «di raccontare» loro «in fiorent'n volgare... in istilo umilissimo e rimesso» «cento novelle, o favole o parabole o istorie» (Proemio 9 e 13; IV intr. 3). Include, dunque, esplicitamente nella sua silloge narrativa anche gli exempla («fabula est exemplaris seu demonstrativa... parabulam non nulli exemplum dicunt»: Gen. XIV 9). Lo conferma del resto nel fatto largamente il Decameron, colle sue varie decine di novelle in chiara relazione con exempla, come ho indicato nelle note alla mia edizione (Torino 1984 (3ª ed.)) come segnala ora Chiara Degani nelle pagine seguenti. Anzi lo stesso termine di essemplo è usato dal Boccaccio come già da Dante (Par. XVII 140) - a indicare quasi tecnicamente certe narrazioni esemplari, edificanti (1 3, 5; 1113, 33; 1116, 3 ecc.: e così già nell'Ameto XVIII 1 e nella Fiammetta IX 7 e poi nell'Ep. a Pino, 5).
Naturalmente l'inclusione e gli scambi fra i due filoni narrativi sono facilitati dall'affinità stretta dell'exemplum e della novella, rilevata dalle stesse più autorevoli definizioni dell'exemplum: quelle più antiche di Pietro Mangiatore e di Isidoro di Siviglia, ripreso da Roberto di Baservorn («exemplum historia est», «narratio authentica») o quelle duecentesche di Giovanni di Garlandia («exemplum est dictum vel factum alicuius authentice persone dignum imitatione... exemplum est quando nos proponimus dicta vel facta authentica») e di Giovanni da Genova, tutta ciceroniana, «est exemplum alicuius dicti vel facti praeteriti propositio... quaedam specie argumentationis»: e cfr. anche Alano di Lifia, Summa de arte praedicatoria, in P.L. CCX 114; Bono da Lucca, Cedrus Libani, XXVI 11), o quelle dei più autorevoli studiosi moderni (G. Paris: «courts récits tantôt édifiants, tantôt ayant le caractère de paraboles ou même récits plaisants»; Th. F. Crane: «illustrative story»; J. Th. Welter: «un récit ou une historiette, une fable ou parabole, une moralité ou une description pouvant servir de preuve à l'appui d'un exposé doctrinal, religieux ou moral»; E.R. Curtius: «histoire destinée à servir de pièce justificative... à l'illustration d'une doctrine théologique»; S. Wenzel: «brief narrative told to illustrate a particular
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moral»; M.D. Chenu: «les exemples ne sont pas seulement des illustrations à l'usage des écoliers ou des simples, mais des actions types, aptes a être la règle efficace... des actions humaines»; F.C. Tubach: rapporto, secondo le teorie delle forme elementari di Jolles, tra «Bezugsrahmen» e «ErzähIdominante»; J. Le Goff: «récit bref donné comme véridique et destiné à être inseré dans un discours pour convaincre un auditoire par une leçon salutaire»: tutte definizioni registrate dal Delcorno, pp. 191 ss. e dal Le Goff, pp. 27 ss.).
Giustamente il Delcorno nella sua rassegna conclude che «occorre rendersi conto che l'exemplum non è un genere letterario chiuso, ma una dominante entro un sistema di comunicazione, dove si intersecano diverse forme di racconto breve».
Pur nelle differenze emerge una sostanziale linea definitoria basata su cinque elementi: carattere narrativo, autenticità cioè affermazione di realtà «storica» dell'episodio (contro la inductio o exemplum fictum), esposizione indirizzata a una cerchia ben determinata di pubblico, rapporto con un discorso o affermazione o sentenza generale (morale, religiosa, civile ecc.), finalità e inquadramento suasorio e didattico.
Tutti e cinque questi elementi, a prescindere alla brevit&Mac246;, sono presenti nelle novelle del Decameron: anzitutto la narratività; l'«autenticità», la «storicità» fin a spiegate e esplicite prese di posizione in questo senso («il partirsi dalla verità delle cose state nel novellare è gran diminuire di diletto negli intendenti»: IX 5, 5 e anche Il 6, 4 e Concl. 4; e poi Gen. XIV 9, 10, 13,- De casibus Intr., IV intr., VIII l); l'esposizione a una cerchia di dieci «fedeli» nel buen retiro fiesolano; l'affermazione generale o sentenza premessa alla novella che ne è quasi la dimostrazione; l'inquadramento suasorio e dimostrativo (cfr. pp. 189 s.) del racconto d'ordinario tra l'introduzione teoretica e le deduzioni conclusive (fino a pieghe alle volte tutte oratorie, omiletiche, come ad esempio nelle novelle di Ciappelletto 1 1, di Filippo Balducci IV intr., di Tito e Gisippo X 8).
Tutti questi fattori ben determinati e caratterizzanti sono percorsi - e in certo senso rinnovati - nel Decameron, proprio come già nelle più trionfanti sillogi di exempla, da un'attenzione tutta particolare alla materia più quotidiana e più contemporanea, fino alla cronaca municipale e alle azioni degli uomini di quei giorni, e da un vigoroso realismo, veramente tipizzante, introdotto in senso convergente da queste due nuove forme narrative medievali come già, e
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sempre in ambiente fratesco, da Salimbene nella cronaca (ed è superfluo rimandare alle pagine di Auerbach in Mimesis). «L'exemplum introduit... la note réaliste et plaisante d'un récit qui rompt à tous regards le mode d'énonciation général... et semble établir entre le predicateur et son public une furtive connivence»; «L'esempio è l'adeguata espressione che del reale poteva dare la civiltà medievale... da qui il valore dell'esempio, rivolto a indicare la particolare reazione di un attore di fronte ai casi della vita, oppure la speciale vicissitudine della fortuna, o meglio della Provvidenza, che interviene a regolare o a redimere la condotta dell'uomo». Queste conclusioni di due forti e fini studiosi sul rapporto exemplum-novella, Jean Claude Schmitt (l'Exemplum, p. 164) e Salvatore Battaglia (La coscienza letteraria, pp. 475 ss.), suggeriscono la possibilità e la legittimità di aprire prospettive generali quanto mai seducenti fra le sillogi di exempla e il Decameron: questa grande commedia dell'uomo saggiato nelle sue capacità di bene e di male proprio dalla Provvidenza attraverso quelle sue ministre sulla terra che sono la Fortuna, l'Amore, l'Ingegno. L'exemplum è sempre novella, come la novella è sempre esempio, perché l'esemplarità - come dichiararono già Boccaccio e Cervantes - è appannaggio inelusibile della narrativa. È una esemplarità naturalmente universale, per tutti gli uomini, in senso positivo e in senso negativo, perché «exemplum est quod sequamur aut vitamus» (Festo, in Glossaria Latina, Parigi 1930, IV, p. 198: e cfr. L'Exemplum, pp. 134-150).
L'universalità degli exempla rimane però in generale limitata in senso e a scopo edificante. Non riesce ad assurgere a quella totalità e complessità di visione umana, sia pur in un quadro provvidenziale, fra terra e cielo, fra il più turpe vizio e la più sublime virtù, fra Giuda e Maria, che ha fatto del Decameron il modello della narrativa europea. Si limita l'exemplum, come è già stato indicato, alla seriale illustrazione di vizi e di virtù, di classi e di tipi sociali, di azioni e di condotte caratteristiche. Raggiunge sì, colle sillogi duecentesche, un'organizzazione espressiva e rappresentativa che ha certo contribuito all'evoluzione della narrativa; ma proprio per la sua impostazione e le sue finalità non poteva forse procedere oltre nel senso dell'organizzazione e della organicità narrativa (ed è stato il più grave errore degli studiosi di ieri quello di privilegiare nell'exemplum il nucleo aneddotico sul quadro dottrinale suasorio).
Nel Decameron al fine spirituale, suasorio e edificante, metafisi
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co-escatologico dell'exemplum si sostituisce una rappresentazione risolutamente narrativa, una visione soprattutto comportamentale - o addirittura utilitaria - sia pure all'interno di una generale visione provvidenziale. Si rovescia in conseguenza il rapporto quantitativo e qualitativo fra enunciazione morale e rappresentazione narrativa, a esclusivo vantaggio di quest'ultima (un processo già, del resto, in atto coi Mendicanti, in quello che il Tubach ha definito Exemplum in the decline, in «Traditio», XVIII, 1962, e chiaro anche in Giordano da Pisa e nel Passavanti).
Anche il procedimento narrativo - come rileverà la Degani - è diverso: le raccolte di exempla sono prontuari, spesso frettolosi, mentre le novelle sono prose d'arte, attente al particolare, al tessuto psicologico, all'espressione stilistica (naturalmente la situazione è diversa nei prontuari di esempi utilitari e provvisori e nello sviluppo degli esempi con la predicazione di oratori abili e dotati, come San Bernardino). E lasciamo da parte i giochi e i registri ironizzante o parodico o antifrastico che alle volte caratterizzano il narrare del Boccaccio (cfr. Boccaccio medievale, pp. 94 ss., 335 ss.).
E tuttavia il rapporto resiste: non c'è, si può dire, racconto, non c'è episodio che non sia inquadrato induttivamente e deduttivamente in una morale, sia pure spesso tutta comportamentale, tutta umana. Non è, la novella boccacciana, un anti-exemplum, come vogliono certi critici pur preparatissimi (p. es. Neuschäfer, Boccaccio und der Beginn der Novelle, München 1969, pp. 33 ss. e Le Goff, pp. 64 ss., male interpretando la V 9). È se mai un exemplum, sempre a carattere dimostrativo e con pretesa di autenticità, ma sviluppato in senso diverso e con finalità e ispirazione diverse da quelli preparati e raccolti al servizio della predicazione o della trattatistica morale e ascetica. È organizzato soprattutto narrativamente e mira quindi non a fini edificanti ma a una visione umana colorita e totalizzante: a presentare cioè una commedia dell'uomo, e di tutto l'uomo, in senso positivo e negativo, nei suoi più diversi comportamenti rappresentabili in racconto.
Il riflettersi - dagli exempla al Decameron - di strutture, di stilemi narrativi e linguistici, di moti idiomatici, di toni e di colori espressivi, può confermare ed avvivare di sensi significativi il rapporto fra i testi, al di là sia delle divergenze chiare già insistentemente rilevate dalla critica sia delle contaminazioni fra le due forme
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narrative (come avverrà in San Bernardino, alle volte tutto boccacciano).
In ambedue le esperienze narrative il racconto è conferma di una proposizione generale iniziale: conferma attestata nella sua autenticità e autorità o da una documentazione letteraria oppure storica illustre, o dalla diretta testimonianza dellautore. Sia gli exempla che le novelle del Decameron sono spesso introdotti per questo da verbi o espressioni di lettura che fanno riferimento a un autorevole mondo libresco («legi, legimus, legitur; dicunt, dicitur; narrant...»), oppure da affermazioni di personale esperienza e partecipazione («vidi, audivi, memini...»). Nel Decameron naturalmente le formule sono meno cristallizzate che negli exempla data la maggiore varietà della materia, dati il tono parlato e il linguaggio volgare. Restano però, in ambedue le direzioni, chiaramente esplicite e dominanti (p.es. per la prima serie cfr. le variazioni in I 1, I 2, I 7, II 3, II 6, IV intr., IV 4, IV 5, IV 8, IV 9, V 1, V 6, V 9, VI 9, VII 9, IX 9, X 3, X 6, X 7, X 8, X 9; per la seconda I intr. 16 e 49, 14, 16, II 1, II 5, III 1, III 3, III 4, III 8, IV 7, VI 3, VI 4, VI 5, VI 6, VI 10, VII 1, VIII 2, VIII 3, VIII 5, VIII 6, VIII 9, VIII 10, IX 3, IX 5, IX 7, IX 10).
E ambedue le serie sono avvalorate, come accade per gli exempla, da una parte dalla citazione di «autorità» e dallaltra da esplicite e vive dichiarazioni di presenza e di contemporaneità («secondo gli antichi» IV 8; «secondo... i provenzali» IV 9; «come... nellantiche istorie de cipriani» V 1; «Coppo di Borghese Domenichi... uomo di grande e reverenda auttorità... » V 9; «In Argo antichissima città dAcaia» VII 9; «Paltissima fama del miracoloso senno di Salamone» IX 9; «alcuni genovesi... nelle parti del Cattaio» X 3; «Ottavian Cesare» X 8; «alcuni al tempo dello mperador Federigo primo» X 9; ma anche «dagli occhi di molti e da miei... veduto» Intr. 16; «come io poi da persona degna di fede sentii» Intr. 49; «il che a una nostra vicina... intervenne» III 4; «io non so da me medesima vedere... sì come in Cisti nostro cittadino ... » VI 2; «Una mia vicina... mi dice» VII 1; «non è ancor molto tempo... arrivò un giovane nostro» VIII 10; «lo non so se voi vi conosceste Talano» IX 7). 1 protagonisti delle novelle danno essi stessi un eccezionale e concreto significato di autenticità allepisodio, anche più che negli exempla, o colla loro identità di personaggi di fama noti e il loro significato storicamente allusivo, o col loro prepotente intervento di uomini che occupavano vistosamente le strade e i traffici di ogni
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giorno (come ho documentato nei due sensi in Boccaccio medievale, pp. 165 ss., 347 ss.). Il Boccaccio rende i personaggi sempre più reali e concreti, sia in senso storico e anagrafico, sia in senso psicologico. Ma è sempre non tanto leroe quanto il fatto, lazione, lepisodio a dare lesempio, la dimostrazione, come ben ha dimostrato per lexemplum Le Goff (pp. 45 ss.).
La stessa tipologia degli argomenti stabilita, anche tenendo conto delle derivazioni letterarie, dal Welter (L«Exemplum», p. 106) e dal Brémond (Exemplum, pp. 40 ss., 120 ss.), si riflette nelle sue dieci partizioni chiaramente anche nel Decameron, come già ho documentato nelle mie note al testo. Si affiancano cioè narrazioni a sfondo biblico (p.es. I 3, II 8, IX 9, X 10) e a sfondo pio o agiografico (anche ironizzato: p.es. I 2, II 1, II 2, II 9, III 1, III 4, III 10, IV 2, V 8, VI 10, X 8), evasioni o interventi, anche fittizi, nellal di là (p.es. III 8, IV 2, V 5, V 8, VII 10, VIII 7), intrecci tutti profani alle volte derivati da autori greco-latini (p.es. IV 2, V 1, V 10, VI 9, VII 2, VII 9, IX 10, X 8), argomenti tutti storici (cfr. Boccaccio medievale, pp. 165 ss.) o mitico-leggendari-folklorici (p.es. I 5, II 3, II 8, III 2, III 9, IV 1, IV 2, IV 4, IV 7, IV 9, V 6, VII 1, VII 4, VIII 7, VIII 9, X 2, X 7, X 9), impostazioni o derivazioni da racconti orientali (p.es. I 3, II 3, II 7, IV intr., VI 4, VII 4, VIII 9, IX 7, X 4, X 9), o «meraviglie» dai geografi e naturalisti del tempo (p.es. III 8, IV 7, VI 10, VIII 3, VIII 6, VIII 9, X 3, X 5, X 9), esperienze dirette e personali (vedi sopra pp. 183 s.).
Si potrebbe agevolmente cogliere questo riflettersi di strutture e di tematiche anche nelle categorie sotto le quali sono stati raccolti, fin dalle prime sillogi, più numerosi gli exempla e sotto le quali si potrebbero classificare pure le novelle boccacciane (p. es. mulier, mors, temptatio, deceptio, praelatus-praelatio, contemptus, oratio, penitencia, princeps, peccatum-peccator, luxuria, patientia, clericus, paupertas, uxor... per nominare le rubriche più affollate delle canoniche opere di Arnoldo di Liegi e di Giacomo di Vitry). Oppure rilevare come in ambedue le esperienze narrative sia chiaro luso dellepisodio o dellaneddoto come strumento dimostrativo, di persuasione (dichiarato esplicitamente nel Decameron, VII 9, 3: «la qual cosa, quantunque in assai novelle sia stato dimostrato, nondimeno io il mi credo molto più con una che dirvi intendo mostrare»; e anche, ripetendo proprio il verbo tecnico dimostrare - come in latino, p. 182 I 2,3; I 5,4; I 7,27; II 9,3; III 2,3; IV 2,5; V 6,3; V
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8,3; VI 2,6; VII 4,3; VII 9,3; X 3,3; oppure insistendo sullammaestramento, sullutilità da trarne, Pr. 14; I 10,8; II 2,3; II 3,5; VII 1,3; VII 2,4; VIII 2,5; VIII 7,3; IX 9,7; X 1,2; Concl. 14. E cfr. in generale pure le I 1, I 9, II 2, II 7, II 10, III 1, III 3, III 4, III 10, V 4, VI 7, VII 3, VII 5, VII 8, VII 10, IX 7, IX 9, X 9, X 10).
Non mancano, come negli exempla, neppure conclusioni parenetiche, ottative o addirittura imperative (p.es. II 7, II 8, III 3, III 6, III 7, III 10, IV 2, IV 10, V 10, VII 1, VII 4, VII 9, VIII 7, X 4, X 5, X 8). E sarebbe facile constatare, anche, come le fonti dichiarate in ambedue le tradizioni siano alternativamente scritte e orali, antiche e contemporanee, culte e folkloriche (cfr. qui innanzi); oppure come limpostazione «popolare», per un pubblico familiare e men colto, renda naturali in ambedue le esperienze narrative lassunzione di elementi popolareschi e folklorici (p.es. nel Decameron: II 4, III 9, IV 7, VII 1, VII 3, VII 10, VIII 9, IX 3, IX 7, IX 9, X 5, X 9), lirrompere di espressioni parlate o addirittura dialettali, di ingiurie e improperi plebei, di coloriture idiomatiche o espressivistiche, di rime popolaresche e di proverbi e sentenze facili e correnti (cfr., per il Decameron, Boccaccio medievale, pp. 358 ss. e G. Chiecchi, Sentenze e proverbi nel Decameron, in «Studi sul Boccaccio», IX 1976; e per gli exempla Schmitt, Exemplum, pp. 90 ss.).
Una circolazione fra quei due filoni narrativi, anzi una sollecitazione dagli exempla al Boccaccio, dovette dunque esercitarsi in senso generale, inventivo e espressivo. Sono troppe e troppo significative le filigrane comuni e ai diversi livelli, anche al di là delle riprese di temi e di intrecci: più della materia comune sono le forme fondamentali comuni a colpire e a interessare. Il Boccaccio certo conosceva quelle grandi sillogi di esempi a cominciare da quelle antiche di Valerio Massimo e di Paolo Orosio e poi da quelle medievali di Gregorio Magno e di Alano di Lilla, riflesse anche nelle Artes predicandi (tutte opere presenti nella «parva libraria»). E usava certo le più moderne raccolte (come testimoniano le chiare e pesanti riprese nelle novelle e poi nelle opere tutte «esemplari» De mulieribus e De casibus) e ascoltava laneddotica largamente derivatane, fino agli abusi più sconvenienti nella predicazione dei suoi tempi deprecati proprio da Giacomo di Vitry, bollando evidentemente un costume diffuso («scurriba aut obscena verba vel turpis sermo ex ore predicatoris non procedant»: Exempla, p. XLIII). Come Dante («Ora si va con motti e con iscede A predicare»: Par. XXIX 115 s.) e come
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Giacomo, il Boccaccio colpiva - e proprio con parole simili - quelle esagerazioni usate per accattivarsi luditorio: «le prediche fatte da frati per rimorder delle lor colpe gli uomini, il più oggi [sono] piene di motti e di ciancie e di scede» (Concl. 23: e cfr. I 1,85; III 4,5-6; VI 10; VII 10,9).
Ma nello stesso tempo doveva avvertire la forza di attrazione che gli exempla esercitavano sul pubblico medio. Il quale, come fin da secoli prima lamentava Gregorio, inducevano «ad amorem patriae coelestis plus exempla quam praedicamenta» (Dialogi, in P.L. LXXVII, 153 A; e afferma il Boccaccio nel De casibus, pref.: «animos difficiles demonstrationibus... lepiditate historiarum capi exemplis»). Il popolo, come ricorda già Cesario di Heisterbach, dai sonnecchiamenti e dallindifferenza si ridestava subito e diveniva attento quando udiva annunciare un exemplum, specialmente se era introdotto da un nome sonante (Dialogus, ed. Strange, Colonia 1851, IV 36); e prediligeva i predicatori emuli di «giullari e romanzieri e buffoni» come scrive un domenicano contemporaneo del Boccaccio, il Passavanti (Specchio di vera penitenza, Firenze 1925, p. 348). Forse mentre deprecava che così si parlasse «nella chiesa, delle cui cose e con animi e con vocaboli onestissimi si convien dire», il Boccaccio sentiva che «ne giardini, in luogo di sollazzo, tra persone giovani» (Concl. 7) proprio quello poteva essere il nuovo e efficacissimo modo di rappresentare la vita e i comportamenti vari delluomo: con unimpostazione generale e in certo senso metafisica che le desse significato unitario ma con una libertà realistica e con un estro narrativo che non potevano agire e vivere negli exempla fondamentalmente didattici e dimostrativi.
VITTORE BRANCA
I
RIFLESSI QUASI SCONOSCIUTI DI «EXEMPLA»
NEL «DECAMERON»
È il Boccaccio stesso, nel Proemio del Decameron, che con il termine «parabole» ci indica chiaramente la presenza di exempla tra
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le sue novelle .
Al seguito di questa affermazione e sulla scia delle numerose e recenti ricerche che hanno contribuito a riscoprire limportanza di questa figura sententiae, considerata non più soltanto espediente dellomiletica medievale o della «letteratura edificante», ma anche in un certo senso modello narrativo si è rilevato come, accanto alle numerose componenti letterarie che concorrono a formare il compo
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sito e vario mondo del Decameron, - quali lagiografia e la narrativa cortese, loratoria sacra e civile e la trattatistica dei «buoni costumi», soprattutto mercanteschi, i fabliaux e i romanzi greci, le sentenze e i proverbi lexemplum occupi una posizione rilevante.
Alla base di un gran numero di novelle, come semplice spunto narrativo o come vera e propria trama ricalcata perfettamente dal Boccaccio, sebbene originalmente rinnovata, spesso sta un exemplum ben preciso o, almeno, una tematica tipicamente esemplare, che possiamo ritrovare nelle grandi raccolte compilate dai predicatori dellepoca o in altri esemplari famosi e che possiamo indicare come fonte probabile dei racconti boccacciani.
È questo il caso delle novelle di Abraam giudeo che si converte (I 2), del Saladino e dei tre anelli (I 3), di Nastagio degli Onesti (V 8), della spiritosa madonna Oretta (VI 1), dellastuta monna Ghita (VII 4), di Isabella e i due amanti (VII 6), di Pirro e Lidia e delle «prove damore» (VII 9), di Salabaetto (VIII 10), di donno Gianni e dellincantesimo della cavalla (IX 10), del cavaliere mal ricompensato (X 1), di Tito e Gisippo (X 8), di messer Torello e del suo miracoloso viaggio notturno (X 9), nonché della storiella delleremita e delle «papere» dellintroduzione alla IV giornata, novelle, queste, che, come è già stato sottolineato, mostrano legami più o meno forti con noti exempla di Jacques de Vitry, di Cesario di Heisterbach, di Etienne de Bourbon, di Jacopo Passavanti, della
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Disciplina Clericalis di Pietro Alfonso o della Tabula Exemplorum . Altri racconti del Decameron, inoltre, - la falsa guarigione di Martellino (II 1), la verginità di Alatiel (II 7), l'esperienza di Alibech «romita» (III 10), frate Cipolla e le reliquie (VI 10), la confessione del geloso (VII 5), la vicenda di Tingoccio e Meuccio (VII 10) l'ostinazione della moglie di Talano d'Imolese (IX 7) si rifanno più indirettamente, ma con un certo margine di probabilità, a temi divenuti ormai topici nelle raccolte di esempi, quali il ritorno dalla morte, le pie confessioni, le morti improvvise, le tentazioni e la verginità e gli effetti miracolosi delle reliquie.
In queste pagine vogliamo indicare qualche caso di contatto tra exempla e novelle del Boccaccio finora sfuggito o quasi.
Sulla novella del conte d'Anguersa (II 8), ad esempio, molte e varie fonti sono state chiamate in causa, proprio perché, come è già stato affermato , il motivo dell'amante respinta che si trasforma in accusatrice è topos presente in diverse tradizioni culturali.
Una somiglianza piuttosto interessante, però, ci pare di notare tra la prima parte della novella e la prima parte di un exemplum di Etienne de Bourbon, che narra la storia di un vescovo amato da una donna e accusato ingiustamente di violenza nei suoi confronti:
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«Item audivi a quodam fratre nostro, qui dicebat ad tumbam sancti de quo referam fuisse, quod apud Caturcensem urbem fuit quidam episcopus magne pulcritudinis («Era il detto Gualtieri del corpo bellissimo ... » II 8,6) et mire sanctitatis, in quem cum quedam mulier de maioribus ville inardesceret, («... la donna del figliuolo del re gli pose gli occhi addosso e ( ... ) d'occulto amore ferventemente di lui s'accese; ... » II 8,7-8) nec quomodo ei loqui posset de die sine nota sui, in quodam festo veniens ad matutinas, cum alii, qui erant regulares canonici, post matutinas recessissent, et ille remansisset in oracione, illa, a suis secedens, ad locum ubi erat sanctus accedens, prostravit se coram eo, et abhorrenti et admiranti dicebat se esse peccatricem, et volebat ei loqui de nocte, quia de die non audebat ad eum accedere. Cum autem ei compassus crederet eam velle confiteri et aurem ei preberet, ipsa incepit eum sollicitare, ostendens ei quomodo eius amore inoriebatur (« ... ultimamente da amor sospinta, (...) con parole rotte così cominciò a dire: Carissimo e dolce amico...» II 8,10-11. Il discorso della donna svela appunto il grande amore che ella nutre per Gualtieri).
Cum autem vir sanctus hoc respueret et horreret quod illa petebat, monens eam ad contrarium, («Il conte, il quale lealissimo cavaliere era, con gravissime riprensioni cominciò a mordere così folle amore e a sospignerla indietro,...» II 8,20) illa, scissis vestibus et dissoluto crine, incepit clamare; («E così detto, a una ora messesi le tnani ne capelli e rabuffatigli e stracciatigli tutti e appresso nel petto squarciandosi i vestimenti, cominciò a gridar forte ...» II 8,22) et cum accessissent qui in ecclesia erant, dixit illa quod episcopus volebat eam opprimere, («Aiuto, aiuto! ché '1 conte d'Anguersa mi vuol far forza» II 8,22) et de hoc conquesta est omnibus amicis suis («Al romor della donna corsero molti, li quali, vedutala e udita la cagione del suo gridare, (...) dieder fede alle sue parole,...» II 8,24).
Episcopus autem, hoc audiens, et innocens, et confusus, fugit ad domum suam, («Il conte, veggendo questo (...) levatosi come più tosto poté della camera e del palagio uscì e fuggissi a casa sua,...» II 8,23) et, videns quod rumor crebresceret contra eum et multe fovee profunde essent iuxta ripam fluminis, qui transibat per civitatem, fecit in una fieri occulte ostium et seram; et intus in rupe erat spelunca satis profunda. Et videns quod non cessaret infamia, imputans hoc peccatis suis, quadam die vocavit quemdam nepotem suum, quem nutriverat, et facit ei prestare iuramentum quod eius secretum nullo modo revelet usque dum diceret ei, («Il conte (...) ammaestrò i due piccioli figliuoli (...) che con ogni sagacità si guardassero di mai non manifestare a alcuno onde si fossero né di cui figliuoli, se cara avevan la vita.» II 8,26-27) et quod sit facturus quod ipse iniunxerit ei.»
Da questo punto in avanti, l'exemplum di Etienne de Bourbon continua con elementi estranei al racconto del Boccaccio. Notevoli, comunque, ci sembrano fin qui le somiglianze tematiche tra i due testi, avvalorate anche da somiglianze di tipo lessicale:
1) l'avvenenza dell'uomo (in questa novella particolarmente
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sottolineata, perché la bellezza, accanto ai leggiadri costmi, è la causa principale dell'amore della donna per il conte);
2) la passione ardente della donna;
3) la rivelazione, da parte della donna, del suo amore;
4) la reazione dell'uomo che incita la donna al ravvedimento e all'onestà;
5) la reazione immediata della donna (capelli e vestiti scompigliati; urla);
6) l'accusa della donna, che offre ai presenti garanzia di credibilità;
7) la fuga a casa dell'uomo incolpato;
8) il desiderio, da parte del protagonista, di mantenere il segreto circa la sua condizione.
Anche per la novella di Alessandro Agolanti (II 3) è possibile richiamarci ad un exemplum. Per questo famoso racconto il Boccaccio, oltre ad essersi basato sul topos fiabesco del giovane che inconsapevolmente conquista l'amore di una regina , puo avere preso qualche suggestivo spunto da un exemplum della Scala Coeli di Giovanni Gobi.
Sotto la voce Castitas dell'esemplario del frate domenicano si legge, infatti, la storia di una regina, figlia dell'imperatore di Costantinopoli, che, ingiustamente accusata di adulterio, dopo varie peripezie viene venduta ad un mercante.
Trascorse altre ed innumerevoli sventure, la regina e il mercante, ormai legati da profonda e sincera amicizia, si ritrovano a Costantinopoli dove vengono celebrate le loro nozze:
«...ipsa predicat omnia sua infortunia et fidelitatem amici. Tandem in signum et in retributionem labori sibi offert imperium, et desponsatur per eum, ita quod ipsa fuit imperatrix et ille tholosanus [mercator] fuit factus imperator» .
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L'affinità tra questo esempio e la novella II 3 del Decameron non si ferma, comunque, solo al fatto che, in entrambi i testi, è narrata la storia di un mercante che diventa re. Nell'exemplum di Giovanni Gobi, infatti, ad un certo punto la regina chiede al mercante tre cose, che egli accetta volentieri:
«Tria peto a dilectione tua. Primum est ne presumas violare castitatem meam. Secundum est ne deducas me in habitu mulieris sed in habitu viri, ne dem materiam scandali. Tercium ne nomines me nomine meo Ratheriam, sed nomines me socium tuum» .
Come si può notare, la seconda richiesta della donna è quella di potersi travestire con abiti maschili, travestimento presente anche nella novella del Boccaccio.
Ci pare, perciò, abbastanza curioso che, nonostante le innegabili divergenze esistenti tra i due testi e al di là della diversa impostazione tematica (l'exemplum di Giovanni Gobi esalta la castità, virtù prediletta da Dio; il racconto del Decameron esalta il nuovo tipo di umanità attiva - rappresentata dal mercante - che, aiutata anche dalla Fortuna, riesce a mutare favorevolmente il corso degli eventi), la novella di Alessandro Agolanti e l'esempio della Scala Coeli abbiano in comune i due fatti più importanti e caratteristici della vicenda: la donna vestita da uomo e il mercante che diventa re.
Mostra alcune somiglianze tematiche con la novella di Bernabò e Ginevra (II 9) l'exemplum 136 del Tractatus de diversis materiis predicabilibus di Etienne de Bourbon, che narra la storia di una donna, falsamente accusata di adulterio, abbandonata in un'isola deserta. Riconosciuta innocente, viene accolta con gioia dal marito:
«Item legitur quod quidam imperator Romanus uxorem habuit pulcherrtimam et castissimam; («...Bernabò Lomellin da Genova, disse il contrario, affermando (...) avere una donna per moglie la più compiuta di tutte quelle virtù che donna (...) dee avere per ciò che ella era bella del corpo (...), niuna altra più onesta né più casta potersene trovar di lei;...» II 9,8-10) qui, recedens pro negociis imperii, sub custodia fratris sui uxorem et terram dimisit. Cuius allectus frater pulcritudine, impetivit eam promissis et minis et violenciis. Cum autem ipsa hec omnino respueret et se ab eo
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viriliter defenderet adveniente imperatore, frater precurrens, ut Egypcia Joseph, crimen retorquens in eam, viro suo eam accusavit; cui leviter credens, eam sibi accurrentem pugnis et pedibus verberans, duobus eius servis eam tradidit, ut furtive eam in silvam ducerent et decapitarent: («E Bernabò (...) al famiglio segretamente impose che, come in parte fosse con la donna che miglior gli paresse, senza niuna misericordia la dovesse uccidere (...). E camminando insieme e di varie cose ragionando, pervennero in un vallone molto profondo e solitario e chiuso dalte grotte e dalberi; il quale parendo al famigliare luogo da dovere sicuramente per sé fare il comandamento del suo signore,...» II 9,34-36) ubi, eius allecti pulcritudine, cum primo eam vellent violare, et illa se pro viribus defenderet et beate Virginis, cui devote servierat, adiutorium alta voce advocaret, quidam nobilis peregrinus transiens et clamorem audiens accurrit, et, ea liberata, occidit servos, et secum adduxit et uxoris servicio eam mancipavit, et puerum suum nutriendum tradidit. Quam cum interim impeteret frater domini sui et ipsa non consentiret, sed viriliter cum pugnis cedens se defenderet et sanguinem ei faceret, ille, volens sibi illatam iniuriam vindicare, ea dormiente, filium fratris extinguit iuxta eam. Ideo dominus ille nautis eam tradidit, ut eam in perpetuum exilium relegaret. Cum autem ipsi eam vellent opprimere vel in mari submergere, ipsa omnino non adquiescente, eam in quamdam insulam dimiserunt,...» (Lexemplum continua narrando come la donna, divenuta famosa per la sua capacità di curare miracolosamente le infermità, è riconosciuta e accolta dal marito).
Le analogie tra la novella di Ginevra e lesempio del predicatore possono essere così schematizzate:
1) la bellezza e la castità della protagonista (che qui acquista un valore particolare in quanto laccusa tenta di distruggere la fama della castità della donna);
2) la falsa accusa di adulterio;
3) lordine imposto dal marito al servo di uccidere la moglie nel bosco («in silvarn»È nel testo di Etienne de Bourbon e «in un vallone... chiuso dalte grotte e dalberi» nel racconto del Boccaccio);
4) la scampata morte della donna;
5) la nave;
6) il riconoscimento della donna e della sua innocenza e la riconciliazione con il marito.
Anche la novella di Rinaldo dAsti (II 2), oltre a riallacciarsi alle
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popolari leggende medievali della vita di San Giuliano , potrebbe in qualche modo rifarsi agli exempla religiosi che incitavano allospitalità cristiana, secondo gli insegnamenti del Vangelo (San Giuliano era, daltronde, protettore dellospitalità).
Circolava, ad esempio, tra i predicatori dellepoca, la storia di una pia donna che accoglieva nella sua casa un uomo bisognoso e ammalato; al marito geloso appariva Cristo crocifisso che gli spiegava che ospitare i poveri equivale ad ospitare Lui stesso. La prima parte di questa storiella edificante può mostrare qualche affinità con la novella del Decameron, come appare da questo breve raffronto con la versione di questo esempio accolta da Etienne de Bourbon:
«...Item audivi a fratre Gaufrido de Blevex (hoc eciam scripsit magister Jacobus de Vitri) quod, cum quedam mulier nobilis consueta esset recipere pauperes et servire eis manibus et abluere pedes eorum, invito viro et inhibente, et invenisset ante domum suam pauperem mirabiliter, («...e dimorava la predetta donna in quella casa, sotto lo sporto della quale Rinaldo sera andato a dimorare. (...) laonde, chiamata la sua fante, le disse: Va sù e guarda fuori del muro a pié di questo uscio chi vè...» II 2,19-22) ut videbatur, afflictum et ulcerosum, («[Rinaldol... dolente e isconsolato piagnendo...» II 2,17) compassa duxit eum in domum suam, («La fante, divenutane pietosa, tornò alla donna e ogni cosa le disse. La qual similmente pietà avendone (...) disse: Va e pianamente gli apri;...» II 2,25) viro eius absente, («...per la qual cosa, [il marchese] mandato a dire alla donna che non lattendesse,...» II 2,20-21) et, cum peteret balneum, paravit ei; («...gli disse la donna: Tosto, buono uomo, entra in quel bagno, il quale ancora è caldo» II 2,26) post, cum diceret quod non posset quiescere nisi in molli lecto, posuit eum in camera sua («...levatisi di quindi nella camera se ne andarono,...» II 2,39). Cum autem subito vir eius, cameram dictam veniens, intrasset in lecto uxoris, invenit dictum infirmum; quem cum crederet adulterum et vellet eum occidere super lectum eius, apparuit ei Dominus...»
Lassenza delluomo (marito nellexemplum e amante nella novella), il rifugio del dolente protagonista presso luscio della donna, la pietà che prova la donna, il momento ristoratore del bagno caldo e il riposo nella camera (che nel testo boccacciano assume ben altro significato!) sono alcune somiglianze tra i due racconti.
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Se si tien conto delleclettismo e della curiosità culturale che spingevano il Boccaccio ad assorbire e a contaminare varie tradizioni letterarie, difficilmente si può parlare, per i casi che abbiamo citato, di fonti.
Parliamo, invece, di spunti, di suggerimenti e di suggestioni che il nostro scrittore certamente sentì e trovò in una figura sententiae divenuta al suo tempo ormai un genere letterario, genere che su una mentalità e una fantasia narrativa esemplificatoria, quale quella dellautore del Decameron, dovette esercitare un particolare fascino.
Egli, proprio per questa simpatia narrativa, rinnovò profondamente, in senso strutturale e stilistico, gli schemi dei racconti esemplari utilizzati come modello.
Il Boccaccio, infatti, pur riprendendo esattamente, in certi casi, la trama di exempla noti e facilmente rintracciabili negli esemplari dei predicatori, trasforma gli esempi in novelle, introducendo elementi nuovi nel racconto e approfondendo ciò che gli exempla presentavano, ma solo in forma embrionale. Lastrattezza e la fissità dei tipi esemplari si muta in una caratterizzazione precisa, vivace e puntuale; lindeterminatezza dei personaggi si modifica in una accurata descrizione degli stessi: viene dato loro un volto, un nome, una classe sociale; la collocazione astratta della vicenda si muta nel trasferimento della storia in tempi e luoghi precisati e determinati, secondo quel processo di «contemporaneizzazione» che lo scrittore opera a tutti i livelli e su tutti i piani.
In questo senso si può parlare, per il Decameron, di exempla che si concretizzano, si calano nella realtà, che diventano veramente specchi di vita.
E anche il loro fine è pratico e realistico. Gli esempi del Decameron non servono più «ad edificacionem animarum» come quelli di Etienne de Bourbon dai quali, peraltro, in molti casi derivano. Essi sono finalizzati ad una utilità quotidiana, sono indirizzati ad un pubblico che si aspetta un manuale di comportamento per tutti i casi della vita, casi contemplati nei tre temi fondamentali dellAmore, della Fortuna e dellIngegno che conglobano, appunto, i problemi umani del mondo del Decameron . Il
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Boccaccio esegue, per tutti i temi e su tutti gli exempla, un rito del piano su cui si colloca la vicenda.
Da un piano dominato dal trascendente, infatti, si passa ad un o terreno, da un piano ideale a quello reale. Lexemplum medievale si appigliava ad una realtà assoluta, offrendo figure e temi esemplari collocati in una astrattezza senza tempo e luogo; anzi, possiamo dire che la forza di questi exempla stava proprio nella loro collocazione lontana, fissa, immutabile ed eterna, che era in grado di offrire al pubblico sicure verità .
Con il Boccaccio, lexemplum viene posto e ambientato nella realtà della vita, nel campo mobilissimo e vivace delle passioni umane, dei sentimenti, delle difficoltà quotidiane. Le figure boccaciane, pur rimanendo sempre a livello esemplare, si appigliano ad una realtà viva, si umanizzano e diventano quasi tangibili agli occhi die lettori. E non poteva essere altrimenti. Il Decameron era destinato ad un pubblico che, con la sua mentalità «mercantile», desiderava misurarsi con comuni eventi e normali passioni, e desiderava trovare nellopera insegnamenti di tipo pratico e concreto.
Ci sia concesso analizzare brevemente la ben nota storiella sulla quale il Boccaccio, per far fronte alle continue mormorazioni che accompagnavano la stesura e la divulgazione della sua opera, basa la difesa, quella, cioè, famosissima in tutte le sue numerose variazioni, delle «papere» e delleremita.
Se esaminiamo la versione accolta dalla Tabula Exemplorum di questo divulgato esempio, notiamo che lignoto autore interpreta il racconto come una sorta di allegoria, in cui il giovane tenuto alloscuro di tutto rappresenta luomo incapace di scegliere il vero bene:
«Exemplum de puero in carcere nato et ibi educato et nutrito deliciose. Si quereretur ab illo quid desideraret habere vel videre utrum celum, solem; de his omnibus non curat, sed diceret desidero habere mulieres, delicias capones, sic mundani qui non vident bona eterna per fidem...» .
Jacques de Vitry, invece, nello stesso esempio, termina con le
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seguenti considerazioni:
«Ecce quomodo hominis natura in hac parte prona est ad lapsum et idcirco qui volunt esse contenentes necesse est ut fugiant mulieres» .
Le riflessioni finali dei due exempla citati innalzano questa vicenda esemplare ad un piano morale, anche se in due modi differenti, richiamando lattenzione del pubblico su nobili aspirazioni delluomo, quali la fede e la castità, incitando luditorio alla virtù. Sono proprio queste considerazioni dei rispettivi scrittori che fanno sì che il sorriso suscitato dalla novelletta boccacciana non compaia durante la lettura dello stesso exemplum nella Tabula Exemplorum e nel testo di Jacques de Vitry. Eppure, la novella del Boccaccio dovrebbe sembrare più «seria», proprio perché il padre e il figlio protagonisti della storia si sono consacrati al servizio di Dio, a differenza dei protagonisti degli esempi citati, allontanati dal mondo non per motivi religiosi.
Il fatto è che lutilità della storiella del Boccaccio non è morale, ma semplicemente umana. Ora - ma già dalle novelle precedenti era emerso - i lettori del Decameron sanno che lamore è una forza naturale della vita, cui è impossibile opporre resistenza. Ognuno può trarre le sue conclusioni, nel bene e nel male; e la morale di Jacques de Vitry «necesse est ut fugiant mulieres» si capovolge ed assume il significato che è impossibile evitare le donne .
Lexemplum delle «papere» e delleremita esce così completamente rinnovato nel suo significato, dimostrando come ogni exemplum, in sé neutro, possa essere utilizzato con scopi diversi e con diversi fini. Ma anche la veste stilistica della storia esemplare si trova, nel Decameron, rinnovata.
Esaminando tre tra le innumerevoli redazioni di questo esempio, notiamo che i personaggi vengono collocati in una dimensione
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atemporale e sono privi di nome o di altri segni di riconoscimento. Nella Tabula Exemplorum, come abbiamo visto, si legge semplice «Exemplum de puero in carcere nato et ibi educato et nutrito deliciose». Nel Novellino, che ripropone la stessa storia, troviamo una scarna indicazione:
«A uno re nacque uno figliuolo» .
Il testo di Jacques de Vitry è un po più ampio, ma non offre indicazioni ulteriori rispetto ai precedenti:
«Legimus de quodam rege, cum filios mares non haberet tristabatur valde. Cui natus est filius masculus...».
Il Boccaccio non solo dà un nome storico e reale al personaggio, ma ambienta la vicenda a Firenze, rendendo il fatto più verosimile e il suo insegnamento più efficace, grazie alla sua verosimiglianza:
«...dico che nella nostra città, già è buon tempo passato, fu un cittadino il quale fu nominato Filippo Balducci...» (Intr. IV, 11-12).
Nelle tre redazioni esaminate, inoltre, la storia tende a «correre» verso la battuta finale, senza alcuna descrizione delle azioni dei perrsonaggi o della loro psicologia. La Tabula Exemplorum, dopo aver accennato al giovane incarcerato, spiega subito dopo la risposta di lui. Il Novellino non ci dice nulla degli anni trascorsi nella spelonca:
«Allora il re il fece in tenebrose spelonche notricare e guardare. Dopo il tempo detto lo fece trarre fuori...».
Analogamente Jacques de Vitry:
«... rex in spelunca filium cum nutricibus inclusit, in qua, usque ad X annos, luminis claritatem non vidit, et tunc, puero de spelunca educto...».
Anche il Boccaccio, introducendo la variante del padre che si segrega insieme al figlio, afferma: «...e quivi in una piccola celletta se mise col suo figliuolo...» (Intr. IV, 15).
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Prima, però, con incisivi tratti ci spiega la figura paterna in maniera completa: la sua umile ma nello stesso tempo agiata condizione (ben lontana dal generico «Rex» delle fonti), il grande amore per la moglie, la sua vita tranquilla:
«... Filippo Balducci, uomo di condizione assai leggiere, ma ricco e bene inviato e esperto nelle cose quanto lo stato suo richiedea; e aveva una sua donna moglie, la quale egli sommamente amava, e ella lui, e insieme in riposata vita si stavano...» (Intr. IV, 12).
Con pochi accenni è descritta anche la vita nelleremo: il pensiero sempre rivolto a Dio, ogni tanto landata a Firenze per le necessità materiali:
«...sempre della gloria di vita eterna e di Dio e de santi gli ragionava, nulla altro che sante orazioni insegnandogli (...). Era usato il valente uomo di venire alcuna volta a Firenze...» (Intr. IV, 15-16).
La scoperta dellesistenza delle donne provoca, nella Tabula Exemplorum, un solo accenno di dialogo, nel racconto:
«...sed diceret desidero habere mulieres...».
Nel Novellino abbiamo due battute di dialogo:
«Rispuose: - I domonî - Allora lo re di ciò si maravigliò molto, dicente: - Che cosa tirannia è bellore di dorma!».
Analogamente in Jacques de Vitry:
«...quidam regis servus respondit...: Iste sunt demones... (...) respondit [il figlio del re]: Magis diligo demones...».
Nel testo del Boccaccio, invece, si immagina un continuo e fitto susseguirsi di domande e risposte, che rivelano la meraviglia e la curiosità del giovane:
«...e di molte domandava il padre che fossero e come si chiamassero. Il padre gliele diceva; e egli, avendolo udito, rimaneva contento e domandava dunaltra. E così domandando il figliuolo e il padre rispondendo...» (Intr. IV, 19-20).
Il dialogo vero e proprio che segue, poi, è basato su ben nove battute che rivelano nuovamente altre sfumature dei caratteri dei
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Personaggi: la prudenza e il sospetto nel padre, il desiderio, la curiosità nel figlio. (Cfr. Intr. IV, 21-29).
Lampliamento dellesempio mediante linvenzione di nuovi personaggi e fatti, o mediante la dilatazione di elementi preesistenti nella fonte, la sottolineatura dellaspetto realistico dellesempio grazie alla descrizione psicologica dei personaggi, la «contemporaneizzazione» della vicenda e il cambiamento o la specificazione della classe sociale delle figure esemplari, con, infine, il passaggio da unutilità spirituale a quella semplicemente umana e concreta, sono i principali mezzi di rinnovamento dellexemplum che lautore del Decameron utilizza non solo nella storiella dellIntroduzione alla IV giornata, ma in tutte le novelle che si rifanno a questa figura sententiae.
Il Boccaccio, abbiamo detto, cambia il piano della storia, porta gli eventi e i personaggi sul piano concreto della vita.
A questa operazione si prestavano bene gli esempi religiosi. Essi erano solitamente ambientati nellaldilà, oppure presentavano una vicenda terrena acquistante significato, però, solo nella sua dimensione ultramondana. Il Boccaccio, trasportando questi esempi su un livello semplicemente umano, quasi automaticamente li ironizza. Gran parte della forza dellironizzazione boccacciana nei confronti degli exempla sta proprio in questo cambiamento di piano.
Prendiamo, ad esempio, una delle tante tematiche esemplari ironizzate nel Decameron, quella, famosissima, del «ritorno dalla morte». NellIndex Exemplorum del Tubach su questo argomento sono catalogati ben centosettantotto esempi, con relative fonti, che dimostrano lenorme diffusione di questo tema nella narrativa esemplare.
Nel Decameron abbiamo due novelle, quella di Ferondo (III 8) e quella di Tingoccio (VII 10), che trattano di questo argomento, ironizzandolo. Nel prologo di entrambi i racconti, infatti, vi è una curiosa affermazione dei rispettivi novellatori che sottolinea linverosimiglianza delle storie narrate.
Così si legge nella III 8:
«Carissime donne, a me si para davanti a doversi far raccontare una verità che
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ha, troppo più che di quello che ella fu, di menzogna sembianza...» (III 8,3).
E così è scritto nella VII 10:
«... mi tirano a dovervi contare una novelletta (...):la quale, ancora che in sé abbia assai di quello che creder non si dee, nondimeno sarà in parte piacevole a ascoltare» (VII 10,7).
Queste affermazioni sono un caso unico nel Decameron; esse compaiono soltanto in queste due novelle che trattano lo stesso tema, il ritorno dalla morte, un ritorno «falso» nella III 8 e «vero» nella VII 10. Eppure sarebbero potute stare perfettamente anche in novelle come quella del giardino incantato (X 5) o di messer Torello (X 9), che presentavano eventi straordinari: ma non vi compaiono. Nel Decameron, dunque, è ammesso sul piano del novellare al massimo il magico e il favoloso (ricavato, come nel caso della storia di messer Torello, dal «soprannaturale» delle fonti esemplarie ), ma non è ammessa assolutamente la dimensione ultraterrena.
Anche Etienne de Bourbon, nella sua raccolta di exempla, si dimostrava talvolta prudente nellanalisi di eventi meravigliosi, con affermazioni di questo tipo: «Sed si verum sit mirabiliter nescio; quod, si verum est, pulcherrimum est; nec mihi constat de omnium veritate» .
Ma siamo qui sul piano del dubbio che ancora oggi la Chiesa mantiene nei confronti di tanti fatti inspiegabilmente miracolosi, un dubbio che non investe affatto i principi della fede. Il dubbio del Boccaccio, invece, è proprio di chi non desidera, per scelta narrativa, avventurarsi al di fuori dei limiti di un orizzonte terreno e tutto vuole riportare a livello reale. Quando lo scrittore afferma che, nella novella VII 10, cè «quello che creder non si dee», non si riferisce certamente ai consigli, in un certo senso blasfemi, che Tingoccio offre al suo compagno nei riguardi della comare.
Linverosimile della storia non sta nel fatto che un uomo torni
STUDI SUGLI «EXEMPLA» E IL «DECAMERON» 205
dallaldilà per dire allamico di continuare senza paura una relazione amorosa di un certo tipo, quanto nel fatto che un uomo possa tornare dallaldilà. Mai un predicatore e il suo fedele uditorio avrebbero catalogato come inverosimile lapparizione di un defunto ad un vivente; di certo essi avrebbero definito «quello che creder non si dee» gli ammonimenti che Tingoccio dà allamico vivo. I personaggi degli exempla dei predicatori ritornavano dalla morte per convertire, con la loro testimonianza senzaltro degna di fede, parenti o amici che conducevano la vita secondo una mentalità «secolare». Sia che venissero dallInferno o dal Purgatorio sia che giungessero direttamente dal cospetto di Dio, essi avevano, in queste visite generalmente notturne, lo stesso scopo di edificazione e di ammonimento. Gli esempi riguardanti gli avvertimeni dei defunti ai viventi erano sempre ed esclusivamente esempi seri e moralmente «positivi», che avevano un senso soprannaturale.
In quelli del Boccaccio, al contrario, domina il senso terreno e concreto delle cose, nonostante la dimensione di morte.
Anche ammesso che Tingoccio torni veramente dallaldilà (cè sempre, non dimentichiamolo, quel «quello che creder non si dee» iniziale), al lettore non rimane affatto alcuna impressione di atmosfera sovrannaturale, in tutta la storia, poiché la realtà ultraterrena è cancellata dal discorso del defunto, tutto pratico e concreto, che dà sì, come le anime dei trapassati dei predicatori, consigli allamico, ma consigli che tolgono la paura del giudizio dopo la morte e che incitano a godere la vita: «Va, sciocco, non dubitare, ché di qua non si tiene ragione alcuna delle comari!» (VII 10,28).
A dire il vero, Tingoccio parla anche, sommariamente, della sua nuova condizione, richiede messe e orazioni. Ma quello che a noi resta, di tutto il discorso, è lallusione alla comare, ed è tutto ciò che resta anche nella mente di Meuccio, il quale, dopo la provvidenziale visita dellamico, «avendo udito che di là niuna ragione si teneva delle comari, cominciò a far beffe della sua sciocchezza, per ciò che già parecchie navea risparmiate; per che, lasciata andar la sua ignoranza, in ciò per innanzi divenne savio» (VII 10,30).
La realtà sovrannaturale ha senso, allora, solo in quanto può essere utilizzata per fini mondani e concreti; essa passa senz'altro in secondo piano rispetto alla vita terrena .
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La falsa morte di Ferondo, ad esempio, (III 8) serve solo per facilitare le «amorose voglie» dellabate e non è di cristiana ammonizione per nessuno, nemmeno per Ferondo stesso che, pure, si crede morto davvero:
«Come? disse Ferondo Dunque son io morto? Disse il monaco: Mai sì (III 8,41-42) (...) Disse Ferondo: 0 ritornavi mai chi muore? Disse il monaco: Sì, chi Dio vuole. Oh disse Ferondo se io vi torno mai, io sarò il migliore marito dei mondo; mai non la batterò, mai non le dirò villania,...» (III 8,53-55).
I buoni propositi di Ferondo, per la sua «resurrezione», si fermano al fatto di diventare un «buon» marito: non vi è nessun accenho a più alte virtù.
Ecco, allora, che lironizzazione degli exempla pii si attua mediante lo spostamento della vicenda su un piano terreno, in cui la «patina» soprannaturale è tolta o soverchiata dagli aspetti realistici e dagli insegnamenti pratici.
Soffermiamoci ancora un momento sulla novella di Rinaldo dAsti (II 2), di cui abbiamo messo in luce laffinità con un esempio di Etienne de Bourbon.
Terminate le somiglianze tra lexemplum e la novella, il testo del domenicano così continua:
«...apparuit ei [cioè al marito della donna ospitale] Dominus nudus, in ea forma in qua pependit in cruce, dicens: Quid me persequeris, qui pro te hoc passus sum? Cum autem ad terram prostratus oculos erigeret, nil invenit, et conversus est ad Dominum»
Lironizzazione di questo pio racconto si attua, nel Decameron, con il completo taglio della seconda parte della storiella edificante, quella in cui entrano in gioco forze sovrannaturali, parte che viene sostituita con la descrizione della relazione amorosa tra la donna e il suo ospite. In effetti, la novella boccacciana potrebbe essere letta veramente come un esempio di cristiane virtù, ma solo fino al punto in cui «la donna avendo più volte posto locchio addosso e molto commendatolo [sott. Rinaldo]» (II 2,35), fa terminare «sessualmente» lavventura del pellegrino. È il finale erotico della novella - un finale, dunque, tutto terreno - che ci fa leggere come esclusivamente
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umani gli atti di gentilezza della bella vedova, così come è la edificante conclusione dellexemplum di Etienne de Bourbon che ci fa vedere tutti i gesti della donna sotto una luce cristiana ed evangelica.
La vedova boccacciana è pietosa, ma la sua pietà non è disgiunta da un certo grado di calcolo; offre cibo al viandante, perché «è questa cena e non saria chi mangiarla»; si getta tra le sue braccia per soddisfare il suo «concupiscibile appetito», ma anche per beffare il suo amante: «...con la sua fante si consigliò se ben fatto le paresse che ella, poi che il marchese beffata laveva, usasse quel bene che innanzi lavea la fortuna mandato» (II 2,35).
Si vede così che in questa novella, come in quelle citate precedentemente, lironizzazione e la parodia boccacciane nei riguardi di exempla religiosi e pii si attua con la scomparsa dellelemento soprannaturale e la sua sostituzione con tematiche e problemi tipicamente terreni, che trasportano lesempio in una dimensione concreta e quotidiana e lo rendono utile per fini mondani.
Capovolgendo e arricchendo le situazioni, i personaggi e gli eventi della canonica letteratura esemplare, portando le vicende sul piano umano, concreto e mobilissimo del reale, il Boccaccio è in grado di allargare lorizzonte dellexemplum tradizionale, ponendo davvero ante oculos, , come esigevano i manuali di retorica, le tesi che desiderava dimostrare attraverso le sue novelle .
CHIARA DEGANI