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Commento
 

Commento al canto XI dell‘Inferno

"[...] secondo che ne bastano le forze dello ‘ngegno‚ c’ingegnamo nelle cose, le quali il naturale esemplo ricevono, fare ogni cosa simile alla natura, intendendono, per questo, che esse abbiano quegli medesimi effetti che hanno le cose prodotte dalla natura, e, se non quegli, almeno, in quanto si può, simili a quegli, si come noi possiam vedere in alquanti esercizi meccanici. Sforzasi il dipintore che la figura dipinta da sé la quale non è altro che un poco di colore con certo artificio posto sopra una tavola, sia tanto simile, in quello atto ch’egli la fa, a quella la quale la natura ha prodotta e naturalmente in quello atto si dispone, che essa possa gli occhi de‘ riguardanti o in parte o in tutto ingannare, facendo di sé credere che ella sia quello che ella non è; [...]"

(Giovanni Boccaccio, Il comento alla Divina Commedia, a c. di Domenico Guerri, Bari, Laterza, 1918, III, p.82.)

 

Nell’anno 1373, Giovanni Boccaccio tenne, su richiesta delle autorità fiorentine, un corso di Lectura Dantis in San Stefano di Badia.

Nel suo commento al canto XI dell‘ Inferno, Boccaccio dà una definizione dell’ingegno di un artista. A suo avviso, l’arte geniale si distingue per la sua grande similitudine alla natura, per il suo realismo, capace di ingannare l’occhio dello spettatore e di creare, in questo modo, un’illusione perfetta.