La formazione di Giotto

Sulla formazione dell’artista, la discussione è stata particolarmente viva. La tradizione (Ghiberti, Vasari, ecc.) unanimamente fa discendere Giotto da Cimabue (coniando il ben noto aneddoto di Cimabue che trova Giotto fanciullo, guardiano di pecore, intento a disegnarle su un sasso, e, ammirato del nativo magistero del suo disegno, lo prende con sé a bottega); ma in tempi più moderni, la riscoperta di opere del Cavallini ha dato lo spunto alla tesi di una preponderante influenza cavalliniana sugli sviluppi del giovane Giotto. Pur non escludendo che Giotto abbia guardato al Cavallini, non pare dubbio che molto più stretti ed essenziali siano stati i vincoli che lo legavano a Cimabue. In Cimabue Giotto certo riconobbe un’intensità drammatica e un senso grandioso e monumentale, come in nessun altro artista del tempo, capace di alimentare e potenziare il suo proprio innato senso del dramma, inteso in accezione nuova, più umana e terrestre.

(Grande Dizionario Enciclopedico UTET, 1990, IX, p.545).

Le leggende

Nei suoi Commentarii, composti nel 1452, Lorenzo Ghiberti inaugura la leggenda di Giotto pastore, scoperto da Cimabue nella natura mentre disegnava una pecora.

Nella mitologia classica, il tema del giovane pastore che diventa un eroe è abbondantemente ricorrente. Il ruolo del pastore nella natura ha una forte connotazione romantica. Secondo il Falaschi, questo fatto spiega la frequenza di aneddotti di questo tipo in biografie di artisti (FALASCHI, 1972, p.17). Ricordiamo che Lorenzo Ghiberti fu il primo a tradurre in italiano i racconti pliniani degli artisti classici. Questo fatto potrebbe spiegare la mescolanza particolare di aneddotti e commenti critici nei suoi Commentarii. Falaschi consta che "his narrative about Giotto reads like a conventional fairy tale – only lacking the initial C’era una volta." (FALASCHI, 1972, p.17).

"2. Cominciò l’arte della pictura a sormontare in Etruria in una villa allato alla città di Firenze la quale si chiamava Vespignano. Nacque uno fanciullo di mirabile ingegno, il quale si ritraëva del naturale una pecora. In su passando Cimabue pictore per la strada a Bologna vide el fanciullo sedente in terra et disegnava in su una lastra una pecora. Prese grandissima ammiratione del fanciullo, essendo di si pichola età, fare tanto bene, veggendo aver l’arte da natura, domandò il fanciullo, come egli aveva nome. Rispose e disse: "per nome io son chiamato Giotto, e ‘l mio padre ha nome Bondoni et sta in questa casa, che è appresso", disse a Cimabue andò con Giotto al padre, aveva bellissima presentia, chiese al padre el fanciullo. E‘ l‘ padre era poverissimo. Concedettegli el fanciullo a Cimabue, menò seco Giotto e fu discepolo di Cimabue. Tenea la maniera greca; in quella maniera ebbe in Etruria grandissima fama; fecesi Giotto grande nell’arte della pictura. [...]

(Lorenzo Ghiberti, Commentario II, in "Quellenbuch zur Kunstgeschichte des abendländischen Mittelalters", a c. di Julius Schlosser, Wien, Carl Graeser, 1896, p.373-376.)

Giorgio Vasari riprende nelle sue Vite (1550) la leggenda del giovane Giotto-pastore, scoperto un giorno nella natura mentre disegnava una pecora su una pietra.

"[...] sendo cresciuto Giotto in età di X anni, gli aveva Bondone dato in guardia alcune pecore del podere, le quali egli ogni giorno quando il un luogo e quando in un altro l’andava pasturando, e venutagli inclinazione da la natura dell’arte del disegno, spesso per le lastre, et in terra per la rena, disegnava del continuo per suo diletto alcuna cosa di naturale, o vero che gli venissi in fantasia. E così avenne che un giorno Cimabue, pittore celebratissimo, trasferendosi per alcune sue occorrenze da Fiorenza, dove egli era in gran pregio, trovò nella villa di Vespignano Giotto, il quale, in mentre che le sue pecore pascevano, aveva tolto una lastra piana e pulita e, con un sasso un poco apuntato, ritraeva una pecora di naturale, senza esserli insegnato modo nessuno altro che dallo estinto della natura. Per il che fermatosi Cimabue, e grandissimamente maravigliatosi, lo domandò se volesse star seco. Rispose il fanciullo che, se il padre suo ne fosse contento, ch’egli contentissimo ne sarebbe. Laonde domandatolo a Bondone con grandissima instanzia, egli di singular grazia glielo concesse. Et insieme a Fiorenza inviatisi, non solo in poco tempo pareggiò il fanciullo la maniera di Cimabue, ma ancora divenne tanto imitatore della natura, che ne‘ tempi suoi sbandì affatto quella greca goffa maniera, e risuscitò la moderna e buona arte della pittura, e introdusse il ritrar di naturale le persone vive, che molte centinaia d’anni non s’era usato.[...]"

(Giorgio Vasari, Le Vite (ed.1550), a c. di Luciano Bellosi e Aldo Rossi, Torino, Einaudi, 1986, p.118)

L’Anonimo Fiorentino (1395) ricorda diversamente la leggenda dell’apprendistato di Giotto:

"[...] E dicesi ch ‘l padre di Giotto l’avea posto all’arte della lana, et ogni volta ch’egli n’andava a bottega si fermava e ponea alla bottega di Cimabue. Il padre dimandò il lanajuolo con cui avea posto Giotto, com’egli facea; risposegli, egli è gran tempo ch’egli non v’era stato: trovò ultimamente ch’elli si rimanea co’dipintori, dove la natura sua il tirava, ond’egli, per consiglio di Cimabue, il levò dall’arte della lana, et poselo a dipingniere con Cimabue. Divenne gran maestro, et corse in ogni parte il nome suo.[...]"

(Commento alla Divina Commedia d’Anonimo Fiorentino del Secolo XIV, ed. P. Fanfani, Bologna, 1868, II, pp.187.f.)