Il topos: della "aegritudo amoris"

 

Il topos letterario dell’"aegritudo amoris" ha le sue origini nell’antichità con il filosofo greco Aristotele (vissuto ad Atene e morto 322 a. C. ). Egli infatti diede una forma scientifica alla dottrina della malattia d’amore usando l’assioma fondamentale della sensazione come espressione di un movimento comune sia dell’anima che del corpo.
Le passioni, secondo Aristotele, sono affezioni sensibili attraverso le quali l’intelletto muove i corpi. Egli distingue fra due gruppi di passioni: le perturbazioni mentali (psicologiche) e le perturbazioni somatiche (fisiologiche). Entrambi però sono intimamente legate fra di loro. Le affezioni che colpiscono il corpo si ripercuotono immediatamente sulla psiche o viceversa.
L’amore parte dall’appetito del soggetto di una bella forma. Una volta esistente quest’appetito si intesifica in un’affezione e questa s’irradia dal cuore come forza motrice (fonte di calore) e quindi, legata al sangue, determina la costituzione fisica e mentale dell’individuo. In questo modo la passione amorosa sbilancia la fisiologia e la psicologia dell’uomo. Una privazione dell’oggetto di passione può recare all’individuo un dolore inquieto, una continua insonnia, tristezza persino un deperimento mentale o la morte perché a questo punto la sua passione è senza speranza.

M. Ciavolella, La tradizione dell’"aegritudo amoris"nel D., in "Giorn. Stor. Lett. It." LXXXVII, 1970; M. Ciavolella, "La malattia d’amore" dall’Antichità al Medioevo, Bulzoni editore, Roma 1976.